cARTeggi – n. 1 – Marzo 2020ArticoloMENTE RELAZIONALE, EPIGENETICA E PATOLOGIA |
ABSTRACT Nella seconda metà del XX secolo, gli sviluppi delle discipline neuroscientifiche hanno contribuito alla definizione di un nuovo paradigma psicoanalitico della Mente, che mette in evidenza il suo carattere relazionale in riferimento ai suoi molteplici livelli di funzionamento. In particolare è emersa sempre più chiaramente la stretta interconnessione esistente tra il substrato neuronale del cervello e la dimensione processuale della mente, componenti di un sistema complesso che comprende anche ogni sorta di fattore di influenza ambientale, interno o esterno. Questo ha permesso di riprendere in considerazione la secolare disputa sull’incidenza di fattori genetici ereditari e/o fattori ambientali nella determinazione dello sviluppo individuale, nel suo esplicarsi attraverso percorsi di salute e benessere o nella rivelazione di disturbi fisici e/o psicologici. L’assunzione della nuova prospettiva relazionale ha permesso di rilevare, grazie ai recenti progressi nel campo dell’epigenetica e in accordo con gli studi etologici, una corrispondenza tra la strutturazione stabile di tratti emotivo-comportamentali conseguita attraverso stili di cura parentali, e la relazione tra comportamento di accudimento materno e responsività allo stress del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) del bambino. Quest’ultima relazione è basata su processi epigenetici, che interessano cioè l’espressione genica del Sistema Nervoso, ossia la tipizzazione del fenotipo: essi non comportano variazioni nella sequenza del DNA ma modificazioni nel medio-lungo termine nell’espressione dei geni. Questi processi influenzano la trascrizione del DNA e sono implicati nella neurogenesi, nella differenziazione neuronale, nella specificazione della differenziazione cellulare e nello sviluppo dei dendriti. Porcelli (2002) afferma che alla base di questi processi ci sarebbero una serie di regolatori nascosti nella diade madre-bambino, grazie ai quali la madre fungerebbe da regolatore psico-biologico dell’infante. Uno stile sicuro di parenting genera una sintonizzazione psicologica capace di gestire gli stati interni del bambino a differenti livelli, di fungere da regolatore affettivo sia a livello relazionale interpersonale in senso psicologico – modalità di contenimento e sincronizzazione vengono interiorizzati come modelli mentali interni di affidabilità, cura ed empatia – sia a livello subconscio in senso psicofisiologico, regolando l’omeostasi di sistemi fisiobiologici dell’organismo, come la frequenza del battito cardiaco, il ciclo sonno-veglia, la termoregolazione, la produzione dell’ormone GH (somatotropina, ormone della crescita). Le relazioni emergono quindi come regolatori della sincronizzazione psicobiologica, che aumenta nel bambino la capacità di autoregolazione, di gestione dello stress in situazioni frustranti, dei livelli ottimali di stimolazione e della risposta attivatoria di arousal, contenendo reazioni fisiologiche come la reattività del cortisolo e la riduzione del tono vagale. La mancanza di tali esperienze relazionali di attaccamento sicuro ridurrebbe invece la capacità di regolazione affettiva e di conseguenza anche di gestione dello stress in relazione alle richieste dell’ambiente, producendo uno squilibrio nell’asse HPA con l’accumulo di un carico allostatico da stress che potrebbe determinare un malfunzionamento di diversi organi target. Anche la perdita di figure significative durante l’arco della vita produce de-sincronizzazione, espressa attraverso segnali non verbali, manierismi, alterazione del tono della voce, della gestualità, delle espressioni facciali. I pattern di sincronizzazione sembrano essere promotori anche di meccanismi quali il sistema di neuroni specchio, il priming affettivo, l’imitazione e l’empatia. Alcuni studi dimostrano come i meccanismi epigenetici influenzano i normali pattern di neurosviluppo e delle funzioni cerebrali, tra cui i meccanismi che intervengono in alcuni disturbi psichiatrici, i cui sintomi sarebbero l’espressione fenotipica di alterazioni molecolari. In particolare l’allostasi, la possibilità di mantenere la stabilità dei sistemi fisiologici, incide sia sulle funzioni cognitive più elevate (memoria, processi decisionali e diverse altre funzioni cognitive) controllate dalla corteccia prefrontale, sia sui processi basali di modulazione della sfera emotiva regolati da ippocampo ed amigdala. Un’adeguata regolazione biologica permette perciò l’integrazione delle rappresentazioni mnestiche di livello cognitivo con quelle affettive. Studi di neuro-imaging[1] dimostrano un aumentato volume di tali strutture (corteccia prefrontale, ippocampo e amigdala) in vari disturbi psichiatrici come depressione maggiore e disturbi d’ansia, nei quali lo stress rappresenta un fattore precipitante riconosciuto. L’epigenoma, l’insieme delle modificazioni epigenetiche di un organismo, viene stabilito alla fine dello sviluppo embrionale, e poi mantenuto, a fronte di alcune regolazioni, durante tutta la vita dell’individuo. Nel corso della vita adulta esso può essere soggetto a modificazioni che causano cambiamenti nello stato di attivazione di un gene. L’ambiente primordiale con cui l’individuo entra in relazione è l’interazione con la figura materna, che inizia nell’utero e prosegue nel post-partum. Il periodo perinatale è caratterizzato da rapidi cambiamenti nell’organizzazione neurale e per questo rappresenta un periodo critico durante il quale le esperienze ambientali possono produrre effetti a lungo termine sul sistema nervoso e sul comportamento dell’individuo. L’influenza della relazione primaria sullo sviluppo è mediata da meccanismi epigenetici. Alcuni studi[2] dimostrano che modificazioni in questo senso possono manifestarsi già nella prima settimana di vita e persistere durante l’età adulta. Inoltre le modalità di cura del caregiver vengono assimilate dal bambino prima che si sviluppi la sua memoria autobiografica: queste esperienze si depositano nella memoria implicita e solo successivamente influenzano la struttura delle narrazioni autobiografiche (memoria esplicita). Lo stesso sistema di neuroni specchio, che si trova nella corteccia prefrontale – e che avrebbe la funzione di controllare le azioni intenzionali e finalizzate, ma attivato anche quando si osserva un altro compiere la stessa azione finalizzata – sembra essere presente nei bambini già allo stadio dello sviluppo preverbale, e costituire la base fisiobiologica delle funzioni dell’empatia umana, della risonanza affettiva, della comprensione delle intenzioni, dell’apprendimento osservativo e dell’acquisizione del linguaggio; potrebbe rappresentare anche la base neurobiologica dei fenomeni d’imitazione nei neonati, del rispecchiamento facciale e vocale e della condivisione affettiva neonatale. Un tipo particolare di regolazione epigenetica in cellule del SN centrale, la metilazione del DNA[3], che ha un ruolo cruciale nel plasmare le sinapsi, emerge durante l’infanzia e, subendo una riconfigurazione generalizzata, viene incrementata progressivamente fino al termine dell’adolescenza quando la maturazione del sistema nervoso è compiuta, venendo poi conservato nell’età adulta. Questa proprietà è alla base dell’apprendimento per esperienza, ma anche di patologie psichiatriche quali la schizofrenia, il disturbo bipolare e la depressione, la cui vulnerabilità è legata ad impairment a livello di trascrizione del DNA. Questo suggerisce che l’esperienza è in grado di plasmare conoscenze e comportamenti, operando su meccanismi neurobiologici che sono alla base della plasticità cerebrale. Nell’uomo sono stati identificati siti di suscettibilità epigenetica longlife, ossia dei locus genetici di predisposizione alla modificazione epigenetica. In alcuni casi essi rappresentano un fattore di rischio genetico di disorganizzazione, ossia di predisposizione allo sviluppo di determinati disturbi o patologie. Nuove evidenze ottenute su patologie psichiatriche[4], prima fra tutte la schizofrenia, e neurodegenerative, suggeriscono che modificazioni epigenetiche avvengano già nelle primissime fasi della vita, ma che rimangano dormienti finchè la maturazione neurale o l’attivazione di pathways molecolari legati ad altri fattori scatenanti, ne inducono la manifestazione, dando origine o rendendo visibile la patologia. Altri studi hanno evidenziato la natura ereditaria dei meccanismi epigenetici di regolazione, definendo impronte epigenetiche, o epimutazioni, quelle modificazioni ereditabili nell’espressione dei geni che intervengono senza che la sequenza di DNA venga alterata. In assenza di cambiamenti del genotipo, l’espressione di modifiche fenotipiche, stabili ed ereditabili, suggerisce l’intervento di fattori extra-genomici, cioè ambientali, nello sviluppo dell’individuo. Ad oggi è chiaro che i meccanismi epigenetici sono dinamicamente regolati: loro rimodellamenti possono avvenire durante tutto il corso della vita adulta sotto l’influenza di numerosi fattori ambientali interni ed esterni, quali lo stile di vita, la nutrizione, l’attività fisica, farmaci, sostanze chimiche e fisiche, fattori relazionali e psicosociali tra cui il tipo di attività lavorativa svolta e i relativi rischi professionali, stress di diversa natura. Il rapporto tra epigenetica e stili di vita è più stretto ed esteso di quanto si potrebbe pensare e in molti casi anche un’esposizione moderata a tali fattori è responsabile dell’insorgenza di patologie nel lungo termine. È importante sottolineare come la predisposizione alla variabilità epigenetica rappresenti un fattore di suscettibilità biologica al contesto ambientale, con un impatto sulla maturazione dei sistemi regolatori delle funzioni cerebrali: essa si realizza dipendentemente alla presenza di determinati fattori ambientali, ed è associata ad uno sviluppo maladattivo in condizioni ambientali avverse, oppure al contrario può conferire un vantaggio in condizioni favorevoli di supporto e protezione. In questa prospettiva, relazioni significative possono intervenire, attraverso processi epigenetici, sui sistemi regolatori e meta-regolatori inducendo un cambiamento duraturo sulle modalità emotive, affettive e comportamentali dell’individuo. Questo fornisce una spiegazione degli effetti che esperienze infantili traumatiche o di neglect, esperite nelle fasi critiche dello sviluppo, comportano nell’aumentare il rischio successivo di psicopatologia. Alcune malattie hanno una base epigenetica: la sindrome di Rett, la sindrome dell’X fragile e la sindrome ICF (sindrome da instabilità centromerica, immunodeficienza e dismorfismi); la maggior parte delle malattie multifattoriali e caratterizzate da eziologia non-mendeliana, sono o potrebbero essere indotte da alterazioni dell’epigenoma, fra queste i tumori, le sindromi neurodegenerative e le malattie associate all’invecchiamento, come l’Alzheimer e il Parkinson[5]. Gli alti livelli di plasticità epigenetica e la loro suscettibilità alle influenze ambientali esprimono, però, anche l’esistenza di un certo grado di reversibilità: i geni di vulnerabilità, o geni di plasticità, possono manifestare una funzionalità adattiva, facendo emergere la possibilità di operare un ricondizionamento del soggetto, sottoponendolo alla costanza di un nuovo stimolo in grado di avviare la formazione di un nuovo modello operativo interno, che cristallizzerà i dati della nuova esperienza relazionale in un nuovo stile emotivo e cognitivo, e in una differente risposta comportamentale. L’epigenetica può essere vista perciò come un marker di alta responsività ad un intervento terapeutico appositamente pensato, sia psicofarmacologico, in grado di modificare i processi coinvolti nei disturbi psichiatrici, che psicoterapeutico, ma non solo: è data la possibilità di configurare interventi, sia preventivi che terapeutici, che si focalizzino sulla definizione di corretti regimi alimentari e stili di vita sani. Inoltre, al pari degli psicofarmaci, anche le psicoterapie modificano i circuiti cerebrali, ottenendo effetti terapeutici attraverso il miglioramento dell’efficacia dei processi d’informazione a carico dei circuiti malfunzionanti e il contenimento dei sintomi ad essi collegati[6]. La relazione terapeutica può fungere quindi da probing neurobiologico, in cui centrale è la funzione dell’amigdala. Studi etologici[7] su disturbi da abuso di sostanze e su altri disturbi psichiatrici suggeriscono che le sinapsi che sostengono tali meccanismi sono sostanzialmente permanenti e irreversibili, ma grazie alla plasticità neuronale i soggetti possono sottoporsi a paradigmi di ricondizionamento, non perdendo le sinapsi originali ma sviluppandone di nuove che inibiscano le prime, riguadagnando comportamenti funzionali. L’epigenetica dunque rappresenta anche un link tra versante strettamente farmacologico e versante puramente mentale, permettendone una integrazione necessaria al metodo conoscitivo dei disturbi mentali e all’applicazione clinica. Essa, infine, aggiunge un grado di complessità alla nostra conoscenza del sistema uomo, significando quanto contino, non tanto i nostri geni, bensì la loro espressione in funzione delle svariate modulazioni dinamiche di cui sono oggetto. Dal punto di vista terapeutico questa prospettiva può dare origine a nuove forme di terapia, tenendo in considerazione che ancora non sappiamo se esista un epigenotipo individuale, magari legato ai diversi momenti dello sviluppo. A tal proposito le ricerche future sul campo potrebbero focalizzarsi sull’analisi delle genome-wide, in cui si studiano le differenze genotipiche su un grandissimo numero di siti genetici, e sull’analisi sequenza-specifiche, in cui si studia il pattern epigenetico di uno specifico gene e i suoi cambiamenti. Per esempio sembrerebbe esserci una correlazione tra funzioni delle specifiche popolazioni cellulari del cervello e corrispondenti schemi di metilazione del DNA. Sembrerebbe esserci una corrispondenza specifica anche tra profilo di metilazione del DNA e sintomi legati alla patologia autistica (ASD). Uno studio ha ricercato lungo il DNA di soggetti autistici, geni che presentassero una sorta di firma epigenetica anormale, cioè una modificazione chimica, detta metilazione, di alcune proteine degli istoni, composti organici che sono collegati al DNA e, intervenendo nella formazione di neurotrasmettitori e di membrane cellulari, controllano l’espressione e l’attività dei geni. Esso ha rilevato nei bambini autistici centinaia di loci che mostravano la particolare firma. Nello specifico il profilo di metilazione è stato rilevato costantemente modificato in alcuni siti genetici per tutti gli individui con ASD e le differenze negli altri siti sono risultate specifiche per determinati gruppi di sintomi. Il numero dei siti della metilazione del DNA in tutto il genoma è stato legato anche alla gravità dei sintomi dell’autismo, suggerendone una relazione quantistica. Inoltre alcune differenze nei marcatori della metilazione sono state localizzate in regioni genetiche associate con lo sviluppo iniziale del cervello e ASD[8]. L’attività dei geni implicati nella malattia può essere influenzata anche da altri cambiamenti importanti a livello epigenetico, alcuni dei quali possono agire in migliaia di punti del DNA ed essere maggiormente funzionanti nelle fasi dello sviluppo cerebrale in cui si ha un’intensa attivazione genica, maturazione neuronale e formazione di sinapsi. Quest’attività può dunque interferire con il normale sviluppo delle reti neuronali. Un altro studio[9] ha rilevato che tutti i disturbi dello spettro autistico condividono lo stesso schema di modificazioni epigenetiche a livello cerebrale. Questo significa che un singolo modello epigenetico globale, pur coinvolgendo numerose vie molecolari, rende conto delle diversità di manifestazione di questa condizione, rappresentando un fattore genetico unificante per tutti i disturbi dello spettro. C’è da dire che questo nuovo modello di riferimento per l’autismo tiene in considerazione la presenza del fattore di suscettibilità genetica in interazione ad altre cause scatenanti, che possono essere ambientali, alimentari, vaccinali, oppure una combinazione di esse. L’autismo infatti rimane un disordine di ordine metabolico che coinvolge sistemi multipli d’organo, principalmente tossicologici, immunologici, gastrointestinali e neurologici, i più complicati del corpo perché saldamente integrati tra loro. Fattori genetici e non, possono dunque interagire nello sviluppo e nella manifestazione del disturbo, i cui sintomi sono rappresentati da alterazioni nella comunicazione sociale, comportamento stereotipato, assenza di linguaggio e progressivo isolamento, talvolta iperattività, impulsività, aggressività, crisi di collera o anche autolesionismo. BIBLIOGRAFIA Iannitelli, A., Biondi, M. (2014), L’epigenetica nella terapia dei disturbi psichiatrici, Rivista Psichiatrica, Il Pensiero scientifico editore, 49 (1), 1. Porcelli, P. (2002), Medicina psicosomatica e psicologia clinica, Raffaello Cortina Editore, Milano. Rocchi, G. e colleghi (2015), La regolazione epigenetica della relazione primaria – Early attachement relationships and epigenetic customization, Rivista di psichiatria, Il Pensiero Scientifico Editore, 50(4), 155-160. Schore, A.N. (2000), Attachment and the regulation of the right brain, Attachment & Human Development. 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[3] una modificazione epigenetica del DNA che permette l´attivazione e la disattivazione di settori genetici. Il processo consiste nel legame di un gruppo metile (-CH3) ad una base azotata. Differenti basi azotate possono subire questo tipo di modificazione per diverse funzioni. [4] Garzia, P. (15 giugno 2012), Epigenetica, ambiente e malattie. Intervista ad Andrea Fuso, www.neurobioblog.com, Connessioni cervello mente corpo. [5] Garzia, P. (15 giugno 2012), Epigenetica, ambiente e malattie. Intervista ad Andrea Fuso, www.neurobioblog.com, Connessioni cervello mente corpo. [6] Boks, M.P., De Jong, N.M., Kas, M.J.H. et al. (2012), Current status and future prospects for epigenetic psychopharmacology, Epigenetics, 7, 20-8; Stahl, S.M., Psychotherapy as an epigenetic “drug”: psychiatric therapeutics target symptoms linked to malfunctioning brain circuits with psychotherapy as well as with drugs, J Clin Pharm Ther, 37, 249-253 in Iannitelli, A., Biondi, M. 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[9] Sun, W. e colleghi (17 novembre 2016), Histone Acetylome-wide Association Study of Autism Spectrum Disorder, Cell, Volume 167, issue 5, 1139-1430 in (18 novembre 2016), L’epigenetica riunifica lo spettro autistico, www.leScienze.it. |