cARTeggi – n. 1 – Marzo 2020

Articolo

RELAZIONI: RIFLESSIONI AL 10 MARZO 2020
di Sara Ornaghi, Psicologa-Psicoterapeuta ad indirizzo psicosomatico, Arteterapeuta Clinica

Frida Khalo
“L’abbraccio di amore dell’Universo, la terra (Messico), Io, Diego e il signor Xolotl”

 

 

“Il cielo e la terra non sono sentimentali;

nulla considerano indispensabile.

 

Il cielo è perpetuo, la terra è perenne.

Essi sono eterni perché non vivono per se stessi”

Lao Tzu, Tao The Ching

 

“Se esiste l’universo, esiste il più piccolo granello di polvere.

Se il più piccolo granello di polvere non esiste,

non esiste nemmeno l’intero universo”

Khán Hỳ, maestro zen

 

 

 

 

 

 

È martedì 10 marzo 2020 quando sento di dover scrivere qualcosa. Una data, un giorno, un punto nello spazio-tempo dello spazio-tempo infinito dell’universo. Uno spazio – tempo che ci vede coinvolti in un’emergenza sanitaria nazionale per la diffusione del virus Covid-19.

Ieri sera, il presidente del Consiglio Conte ha dichiarato l’intero territorio nazionale “zona rossa”. Dopo poco più di una decina di giorni dai primi casi nella zona del lodigiano, i contagi e, purtroppo le morti conseguenti, sono aumentati esponenzialmente. L’unica decisione per la salute collettiva è fermare tutto, se non per lo stretto necessario.

“Necessario”. Ma chissà cosa è poi “necessario”. Se guardiamo l’etimologia di questa parola, dal latino, nome composto dalla particella ne- (negazione) e dal tema ceděre (ritirarsi), pare un paradosso: letteralmente “non ritirarsi”. Quando in realtà ritirarsi è proprio l’unica soluzione possibile per evitare la diffusione del virus. Non possiamo più non ritirarci dal ritirarci: nelle nostre case, lontani dal mondo e dalle relazioni. E chissà che il mio sentire di dover scrivere qualcosa sia più il bisogno di condividere, scambiare, carteggiare, relazionarmi con qualcuno (qualche Dio non me ne voglia se dovesse trattarsi di un atto di superbia).

Relazionarsi… relazione… la tematica che le autrici dei contributi proposti portano con delle prospettive differenti.

Ma è così vero che ora, il 10 marzo 2020, in questa situazione di ritiro ed isolamento non siamo in relazione?

Forse, quella società sconnessa di cui parla Roberta Di Matteo nel suo articolo, ora è meno sconnessa. Forse doveva arrivare un virus per fare in modo che il sentire, un sentire comune, connettesse le persone. Un sentire che parla di timore, panico, solitudine, sofferenza, morte. Ma anche di fatica (in primis quella di medici ed infermieri), impegno, coraggio, solidarietà, responsabilità civile. Un sentire che, per il bene di tutti, della specie, direbbe Darwin, deve mettere da parte il proprio ego, il proprio ritorno personale, la propria onnipotenza e necessariamente portare fuori un sentire pro-sociale: un tessuto di rispetto reciproco, tutela, ascolto, presa in cura, responsabilità, amore. Ed è tale tessuto che ora può avvolgere e proteggere, come una Grande Madre buona, che accoglie i fantasmi mortiferi che popolano la mente di un bambino terrorizzato.

Un virus ci ha “attaccato”. Il termine virus deriva dal latino e significa veleno o tossina. Un virus non è costituito da una cellula, è un’unica molecola di acido nucleico (materiale genetico, DNA o RNA) racchiusa da una membrana proteica. I virus, quindi, non hanno un metabolismo proprio e non sono in grado di moltiplicarsi autonomamente, ma hanno bisogno di un organismo da infettare.  Nell’organismo attaccato, i virus si moltiplicano aggredendo la cellula dell’ospite e sostituendo il proprio DNA a quello della cellula infettata, prendendo il controllo di tutte le funzioni metaboliche, di tutte le funzioni che hanno lo scopo di nutrire e far respirare un essere vivente. Si dice pertanto che un virus è un parassita obbligato, può vivere solo se si impossessa di un altro essere vivente. Se consideriamo il materiale genetico come la profonda essenza di un essere vivente (un’anima, un sé, un daimon), allora un’anima oscura si è impossessata di un altro corpo.

Ma se questo accade nella materia, nel corpo, cosa accade a livello psichico?

Per la psicologia del profondo qualsiasi sintomo, fisico o psichico, si manifesta perché deve segnalare che qualcosa nel sistema non funziona.

Cosa sta segnalando a livello collettivo questo virus? Cosa sta dicendo, non al singolo sistema complesso uomo, ma al collettivo sistema complesso Uomo? Se il Covid-19 è un veleno materiale, quali sono i veleni psichici che circolano? Quali pensieri e sentimenti nocivi si sono impossessati della collettività? Cosa si è mosso e si muove nella grande sorgente informativa dell’universo, che comprende e pervade ogni forma vitale, di cui ormai anche la fisica quantistica ci parla e che per i mistici e i saggi di diverse epoche è l’Akasha?

Dalla storia collettiva, ma sicuramente ciascuno di noi può trarre le sue riflessioni anche dalla storia personale, ad ogni morte segue una grande rinascita, generalmente accompagnata da una crescita di consapevolezza.

Di cosa dobbiamo diventare più consapevoli?

Mi vien da dire che in questa disgrazia abbiamo il tempo di fermarci e provare ad ascoltare, profondamente.

E ancora, paradossalmente, quest’emergenza diventa un’opportunità per fermarsi alla relazione con se stessi. In un mondo dove è sempre tutto veloce, tutto fuori di noi, tutto prestazione e lavoro, performance e successo, ci siamo dovuti fermare, siamo dovuti rientrare a “casa nostra”… e starci per molto tempo. Forse avevamo bisogno di tornare a guardare dentro e non fuori. Forse dovevamo correre di meno e ricordarci che la vita non è fatta solo di responsabilità, compiti, guadagno e successo, ma anche di tempo necessario per imparare ad essere senza fare e per imparare ad amare e a prendersi cura.

Si può trascorrere più tempo coi figli, con gli affetti, ci si può dedicare a sé, si può leggere, ascoltare musica, ballare e colorare, dipingere…. Forse c’era bisogno di avere più tempo per dedicarsi all’Anima. Forse per aver la possibilità di generare, creare e dare alla luce, bisognava scontrarsi con le ombre, questa volta davvero profonde e nere. Ma è solo scendendo all’Inferno che poi si può accedere alla luce, con fatica, impegno e rinunce, ma anche con la leggerezza del sapere che “tutto scorre”, nulla si crea e nulla si distrugge…tutto si trasforma.

Ma siccome la grande Anima Mundi, di cui tutti facciamo parte, non genera e non crea forme archetipiche che non abbiano una finalità, il tempo e la presenza concessoci per la nostra Anima diventano tempo e presenza concessi alla stessa Anima Mundi.

Non ci siamo sufficientemente preoccupati dell’inquinamento, del danno che stavamo causando all’aria, dello scioglimento dei ghiacci per il surriscaldamento globale. E proprio mentre l’aria intorno a noi diventa irrespirabile, un virus porta importanti disagi a livello respiratorio.  Ora che non ci si può muovere, circolano pochissimi mezzi inquinanti e (anche a Milano!) l’aria è respirabile.

Il Covid-19 ha scelto i polmoni. Un organo altamente specializzato con la funzione, nelle sottilissime diramazioni dei suoi alveoli, di introdurre ossigeno nel circolo sanguigno e cedere anidride carbonica. Le particelle di ossigeno dell’aria scendono fino ai polmoni per far sì che il nutrimento necessario per il metabolismo, il fuoco vitale dentro di noi, possa raggiungere ogni cellula del corpo. Ogni singola cellula del corpo, con ogni ispirazione, riceve una parte del mondo fuori dal corpo. E con ogni espirazione parti residue di noi tornano al respiro del mondo. Il respiro è ciò che ci connette al mondo, è una relazione tra il mondo dentro ed il mondo fuori. In molte credenze religiose, più o meno primitive, esalando l’ultimo respiro, l’Anima lascia il corpo. Senza il respiro non esistiamo, senza un continuo fluire nel qui ed ora non esisteremmo: la nostra esperienza umana è ciò che trascorre tra il primo vagito e l’ultima esalazione. Dire che senza respiro non esistiamo è come affermare che se non ci relazioniamo, moriamo.

Forse non a caso, in questo tempo narcisistico ed autocentrato questa forma di vita ha voluto porre l’attenzione sull’importanza dello scambio continuo, ma uno scambio profondo, che arriva fino ai più piccoli capillari.

In un mondo in cui costruiamo muri[1], reali e metaforici, per tenere lontani gli altri, un virus ha sconfinato e ci ha obbligato ad unirci, a mettere insieme tutte le nostre forze, concrete ed emotive. Non ci sono muri che possono tenere lontana la Vita, qualsiasi forma essa decida di prendere e indipendentemente dalla modalità con cui decide di comunicare con noi, ci piaccia o meno, non sta a noi Umani decidere.

Non abbiamo avuto tempo e presenza per occuparci di terribili conflitti nel mondo (l’ultimo, ma SOLO l’ultimo, di cui i media ci abbiano detto qualcosa, è la tragedia che si sta consumando in Siria) ed ora ci troviamo in una situazione in cui dobbiamo far fronte ai morti accanto a noi. Muoiono persone, spesso anziane, e purtroppo spesso confinate in isolamento per non contagiare gli altri, sole, senza la possibilità che i loro cari possano avere un ultimo contatto, circondate da persone a loro sconosciute, coperte di mascherine e dispositivi di protezione e senza che, almeno allo stato attuale, tale passaggio possa essere ritualizzato e sacralizzato.

In questa situazione anche la morte diventa dis-Umana, dis-sociata da un contatto affettuoso, uno sguardo familiare, amorevole, per quanto sofferente. Abbiamo dis-sociato guerre, morti, sofferenze. Li abbiamo ritenuti lontani dalle nostre società, ne abbiamo distolto lo sguardo e ne abbiamo isolato il contatto emotivo: quel veleno non poteva toccarci, non potava penetrare nel nostro corpo, non poteva creare alcuna emozione, avevamo i nostri dispositivi di protezione individuale a cui affidarci. Li abbiamo messi non in rianimazione, ma in quarantena solitaria, forzata, non finis. Ora, quella morte ci tocca da vicino, quasi una legge del contrappasso.

Nella sua brutalità non è forse questo un’inconscia collettiva modalità per farci connettere col sentire di chi appare così distante e diverso da noi? Non è un modo per farci comprendere che, alla fine, l’Altro siamo noi?

Ed è il “sentire” che connette, complessifica, crea connessioni, intuizioni, immagini. Il “pensiero” divide, crea opposti, categorie. Il pensiero ci dice cosa è buono e cosa è cattivo, cosa è bene e cosa è male, cosa è piacere e cosa è dispiacere, cosa è bianco e cosa è nero, cosa è luce e cosa è ombra. Ma non si tratta altro che delle facce opposte di una medesima medaglia, di un Uno che tutto unisce e che oscilla continuamente, così come ben rappresentato nel Tao The Ching.

E chissà che quello che sta accadendo, pur travestito da non relazione e da isolamento, sia proprio qualcosa che suggerisce connessioni e relazioni e possa avere ricadute di carattere epigenetico, così come ben descritto nell’articolo di Susan Vettori. Non sono un neuroscienziato e non ho sufficienti conoscenze in materia, ma se la mente è fortemente influenzata da fattori interni ed esterni,  tanto più questi hanno un impatto relazionale ed affettivo sull’individuo, più potranno esserci delle modificazioni a livello di manifestazione genica? Una cosa è certa: qualcosa dentro di noi verrà cambiato.

E allora mi viene un’ulteriore domanda: se ormai sappiamo che la relazione terapeutica può modificare e riparare Modelli Operativi Interni dissociati e disfunzionali, cosa accade con questa interruzione forzata degli incontri di arte e danzaterapia? Come stanno gli utenti? Soprattutto quelli più fragili, che magari già per condizioni personali vivono ancor di più l’abbandono e la solitudine? Quale contenitore, quale spazio transizionale potrà accogliere i loro fantasmi, le loro paure, i loro vissuti in un periodo così delicato? Se, come osserva Elisa Giustarini, nel suo contributo, la creatività consente di trasformare, organizzare, simbolizzare, quale spazio rimane ai nostri utenti in questo periodo in cui viene a mancare una figura di accudimento con cui poter condividere il proprio mondo interno e attribuirgli significato?

10 marzo 2020, sento alla radio un pezzo dei Foo Fighters:

“It’s time like these you learn to live again
It’s time like these you give and give again
It’s time like these you learn to love again”

È in tempi come questi che è importante imparare a vivere di nuovo e a sentire la Vita, nonostante tutto intorno parli di altro. Che questa è la Vita, una relazione tra buio e luce, tra inferi e cielo.

È in tempi come questi che bisogna imparare a dare e dare ancora, rinunciando a pretese egoistiche ed onnipotenza. Rinunciare al proprio Io per stare nella rete del Noi.

È in tempi come questi che è importante imparare ad amare nuovamente, a sentire che c’è una forza dentro di noi che spinge e muove, ed è ciò di più prezioso che abbiamo, una forza che è attrazione, relazione ed unione generatrice.

[1] https://www.internazionale.it/tag/un-mondo-di-muri

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