cARTeggi – n. 2 – Novembre 2020


Articolo
ATTRAVERSO GLI OCCHI

di Patrizia Virtuoso, insegnante di scuola primaria, danzaterapeuta, docente Lyceum

“Ho passato la vita a guardare
negli occhi la gente,
è l’unico luogo del corpo dove forse
esiste ancora un’anima

Josè Saramago


Costretti da mesi ad uscire di casa indossando la mascherina, come Danzaterapeuta Clinica, mi interrogo su come questo oggetto che occulta parzialmente il volto, possa modificare la percezione del proprio e altrui corpo. Soltanto uno sguardo che osserva gli sguardi, può comprendere

Il post lockdown e l’obbligo ancora in vigore di utilizzare misure cautelative per proteggerci dal Covid19, ha lasciato nelle persone tracce differenti. Osservandole, possiamo notare diverse reazioni, tra cui la paura e l’ansia da eventuale contagio, che, entrando nella mente, si rende visibile attraverso lo sguardo.

Volto e identità sono un binomio studiato e analizzato fin dall’antichità.

Filosofi e medici come Empedocle e Ippocrate, avevano individuato categorie e tipologie dove elementi naturali, astri e divinità si trasformavano in forme di occhi, nasi, bocche.

Nel tempo, si è scoperto che anche il nostro carattere, plasma e modifica le diverse parti del volto.

La morfopsicologia, si occupa di tradurre la forma degli occhi, del naso, della bocca in una sorta di autoanalisi in potenziali tracce, per cogliere e svelare il carattere altrui.

Secondo il modello morfopsicologico di Louis Corman, è possibile decodificare e conoscere i modelli umani al di là della psicoterapia e della psicanalisi, attraverso la “materia” del volto. (Bosio, 1999).

Avete osservato gli occhi che guardano al di sopra delle mascherine?

Spesso sono occhi fissi, dilatati, tesi. In alcuni casi sfuggenti, spaventati.

Si avverte una tensione, una distanza interna

La paura e l’ansia, sono entrate nell’animo di alcune persone e si rendono visibili all’esterno, attraverso gli occhi appunto. L’altro da sé, vissuto talvolta come potenziale nemico, si tiene a distanza, anche evitando di incontrarne lo sguardo.

La mascherina, cela il sorriso e tutta una serie di micromovimenti che caratterizzano la mimica facciale, e così gli sguardi spesso perdono il loro potere comunicativo.

Questa situazione fa riflettere sull’importanza del volto e dei messaggi che esprime, soltanto nella sua interezza. Se nascondessimo gli occhi con una benda, resterebbe alla bocca l’unica possibilità di espressione e dunque, cosa rimarrebbe del volto?

Qualcuno, forse inconsciamente, usa la mascherina come mezzo per nascondersi, celarsi al mondo. Avete osservato quelli che la portano insieme agli occhiali scuri e magari al cappello? Così facendo, presentano al mondo una maschera impenetrabile, un muro.

Io ti vedo, ma tu non puoi vedere me. Queste persone rappresentano l’immagine della non comunicazione, l’esatto opposto di ciò che il corpo ha come funzione primaria. Forse si vivono l’obbligo come un’opportunità, non solo preventiva, ma anche occultante. Un modo per scomparire non visti.

I bambini, più spontanei, usano la mascherina perchè gli adulti la raccomandano, ma la sentono come un orpello, qualcosa da togliere appena possibile, non la amano e, per fortuna, non la utilizzano con i retropensieri degli adulti.

Ma quali conseguenze possono esserci nel corpo, nella sua espressività complessiva, essendo tutti noi obbligati ad usare un oggetto che imbavaglia il sorriso e consegna tutta la potenzialità comunicativa agli occhi?

E io che indosso questo oggetto come mi percepisco rispetto al mondo? Visto che il mondo mi percepisce solo in parte?

Il corpo fa esperienza di sé nello spazio e nel tempo e attraverso ciò che lo circonda: oggetti, cose e per mezzo dello sguardo altrui.

Muoversi, andare in qualche luogo, con indosso un oggetto che nasconde una parte del viso, ci fa essere percepiti dagli altri in modo dimezzato e ci fa sentire nascosti dietro ad una barriera che ci protegge/nasconde e ci mostra al mondo differenti.

Noi siamo innanzitutto coscienza, o piuttosto esperienza, ci dice Merleau-Ponty, comunichiamo interiormente con il mondo, con il corpo degli altri e con gli altri. (Merleau-Ponty 2003).

“Il contorno del mio corpo è una frontiera che le ordinarie relazioni di spazio non oltrepassano”. (Merleau-Ponty, 2003 pag 151).

Dunque siamo di fronte ad una ridefinizione del nostro schema corporeo, che ora, in alcuni momenti della nostra quotidianità, include la mascherina sul viso.

La presa di coscienza del mio viso coperto, mi fornisce a livello percettivo una nuova forma.

Imparo a percepire il mio corpo con una forma differente determinata dalla nuova situazione. Per cui l’immagine corporea rischia di modificarsi, inglobando in esso il volto coperto.

Un possibile scenario potrebbe essere che nel tempo si modifichi la percezione di sé e degli altri? 

Gli occhi sono l’organo di senso maggiormente utilizzato dall’uomo. Privilegiamo la vista a scapito degli altri sensi, di cui abbiamo perso parecchie potenzialità. 

In realtà noi non vediamo con gli occhi, ma con il cervello dotato di decine di sistemi differenti per analizzare le immagini che provengono dagli occhi.

Si trova nella corteccia visiva primaria, localizzata nella parte posteriore del cervello, nei lobi occipitali, una mappatura della retina che riesce a discriminare luce, forma, orientamento, campo visivo.

Gli impulsi provenienti dagli occhi e diretti alla corteccia cerebrale, attraversano un percorso tortuoso per passare talvolta sul lato opposto del cervello. La metà sinistra del campo visivo di ciascun occhio, invia i suoi impulsi alla corteccia occipitale destra e viceversa.

Pertanto quando in seguito ad un ictus, o ad altre patologie, si verifica la perdita della vista su un lato, possono manifestarsi sintomi positivi: allucinazioni nell’area cieca o quasi cieca. (Sachs, 2003).

Allora c’è da domandarsi: tutti coloro che hanno danni importanti alla vista, come possono percepire il viso coperto delle persone che incontrano? Come possono comprendere i messaggi del viso parzialmente nascosto?

Quindi noi siamo un corpo oggettivo, come descrivono i fisiologi, oppure possediamo qualcos’altro che ci permette di andare oltre il limite fisico, imposto dalla malattia o dall’oggetto che ricopre parte del nostro viso?

Se cominciamo a riflettere e a considerarci oltre il corpo fisico, come un corpo dotato di coscienza, possiamo ampliare la nostra visione. Partendo da una coscienza percettiva, potrò percepire l’altro come corpo fenomenico.  “Grazie alla riflessione fenomenologica, io trovo la visione, non come “pensiero di vedere”, secondo l’espressione di Cartesio, ma come sguardo in presa su un mondo visibile: ecco perchè per me può esserci uno sguardo altrui, perchè quello strumento espressivo che chiamiamo un volto può essere portatore di un’esistenza nello stesso modo in cui la mia esistenza è portata dall’apparato conoscitivo che è il mio corpo”. (Merleau-Ponty pag. 456).

Posso dunque, ampliando e affinando il campo della mia percezione comprendere e sentire l’altro anche attraverso gli occhi.

È una sfida necessaria, se vogliamo restare umani e non trasformarci in automi fisiologicamente funzionanti. È una sfida affascinante per chi si occupa di comprendere il linguaggio non verbale.

Il Danzaterapeuta Clinico ha tutte le risorse e le competenze per accettare la partita e per diffondere la cultura dell’ascolto del corpo. “Io ti vedo” diceva Neytiri a Jake, nel bellissimo film “Avatar”.

Vedo oltre i tuoi abiti, le tue parole, la tua mascherina…Vedo te, da dentro, ti sento e ti accolgo come essere umano nella tua unicità e particolarità.

La nostra capacità di osservare di Danzaterapeuti Clinici, potrà essere trasposta dal setting, alla vita quotidiana. Sarà un bagaglio importante da cui attingere. Questa peculiarità è proprio ciò che caratterizza la metodologia: saper osservare in profondità per costruire un’azione terapeutica. Osservare i pazienti e osservare noi stassi al tempo stesso, ci porta ad essere Clinici. Sviluppare dunque la capacità di osservare su due livelli, può permetterci di affinare la percezione di ciò che muta, si trasforma e cambia forma anche nella società e accogliere il cambiamento e saperlo trasformare in un’opportunità è un’altra partita in cui noi Danzaterapeuti Clinici siamo abili giocatori.

Pur restando liberi di pensare e valutare scelte e metodi, dell’adattamento forzato,  è al dialogo e alla riflessione al di là delle parole che dobbiamo consegnare il senso di un cambiamento così grande; e se  da un certo punto di vista, ci attende un futuro incerto, dall’altro possiamo intravederne le potenzialità: migliorare le nostre capacità intuitive e percettive e osservative, può aiutarci a svelare attraverso gli occhi, il luogo di noi e dell’altro in cui risiede ciò che davvero conta e ci rende unici.


BIBLIOGRAFIA

Borgna E., (2020), Il fiume della vita, Feltrinelli Milano 2020

Bosio L., (1999) Il volto che parla, Riza Scienze, dicembre 1999

Galimberti U., (1983) Il corpo, Economica Feltrinelli Milano 1999

Merleau-Ponty M., (1945) Fenomelogia della percezione, Studi Bompiani 2003

Sachs O., (2012) Allucinazioni, Adelphi Edizioni Milano 2013

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