cARTeggi – n. 3 – Maggio 2021

ARTICOLO
NEURONI SPECCHIO E AUTISMO. ASPETTI FISIOLOGICI DELL’IMPORTANZA DELL’ESPRESSIONE ARTISTICA E CORPOREA NELLA RELAZIONE
Elena Moscardini, laureata in Lettere Moderne ad Indirizzo Artistico, arteterapeuta in formazione

Abstract
La scoperta dei Neuroni Specchio ha cambiato il modo di intendere la fisiologia della visione e quella della motricità, ha aperto la strada a nuovi studi sui fenomeni dell’empatia e dell’identificazione, e su alcune malattie psichiatriche, come i disturbi dello spettro autistico. Le Neuroscienze svelano come il sistema motorio abbia un ruolo fondamentale nello sviluppo delle facoltà cognitive e invitano ad intrecciare un’importante relazione tra il corpo, l’espressione artistica e la relazione intersoggettiva.

Agli inizi degli anni 90, un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Fisiologia dell’Università degli Studi di Parma, guidati dal Neuroscienziato Giacomo Rizzolatti, mediante approccio etologico all’indagine sulla corteccia premotoria dei macachi, ha scoperto l’esistenza di un particolare tipo di neuroni, i Neuroni Specchio, che ha cambiato il modo di intendere la fisiologia della visione e quella della motricità, dimostrando inoltre come la comprensione dell’altro possa avvenire in modo immediato e senza processi logici differenziali. Gli esperimenti sui macachi hanno evidenziato che, se un osservatore ha esperienza dell’azione motoria compiuta da un soggetto agente, nel suo cervello si attivano gli stessi pattern neurali del soggetto agente.

Col proseguire della ricerca sull’uomo, si è visto poi che i Neuroni Specchio sono in grado di attivarsi non solo a seguito di comportamenti esperiti, ma anche del linguaggio che descrive un’azione; e che sono coinvolti nella comprensione e nella condivisione di esperienze emotive.

I Neuroni Specchio sono inoltre in grado di comprendere l’intenzione del comportamento, fornendo significato all’azione stessa. L’attribuzione dell’intenzione al comportamento osservato è un meccanismo automatico di simulazione incarnata: non vi è infatti nessuna inferenza o introspezione, ma soltanto una riproduzione automatica, non consapevole e pre-riflessiva (Gallese, 2006).

Questa scoperta ha aperto la strada a nuovi studi sui fenomeni dell’empatia, dell’identificazione, dello sviluppo infantile e sulle loro implicazioni su vari processi terapeutici, in particolare nell’ambito di alcune malattie psichiatriche, dove la capacità empatica sembra essere assente o deficitaria, come il disturbo borderline, il disturbo narcisistico di personalità e i disturbi dello spettro autistico.

Come ci spiega il Neuroscienziato Vittorio Gallese, che a tale studio ha preso parte, in un’intervista apparsa su Video Channel nel 2014, l’Autismo ha una storia nosografica complessa, quasi centenaria, che ha visto varie stagioni ed interpretazioni. Dapprima una stagione psicodinamico-psicoanalitica, poi una stagione cognitivista e da ultimo la consapevolezza che ognuna di queste visioni sia in sé troppo parziale, per definire un quadro di sintomatologie tanto complesso, da dover essere compreso nella definizione di “spettro” autistico.

Oggi sappiamo che essere autistici significa soffrire di una alterazione del neurosviluppo, come spiega Gallese nell’intervista, poiché il cervello di un individuo autistico si sviluppa seguendo un percorso atipico: presenta un’iperconnettività locale, a fianco di una riduzione delle connessioni a più lungo raggio, tra aree distanti del cervello. Sappiamo inoltre che in molti soggetti autistici è presente un assottigliamento della sostanza grigia in alcune aree della corteccia, ma soprattutto sappiamo che essere autistici, in misura variabile, proprio perché parliamo di uno spettro, significa essere disprassici, avere dei problemi comunicativi e in senso più generale, dei problemi di apprendimento e di relazione interpersonale.

Questi disturbi sono stati spiegati per lungo tempo, come manifestazioni di difesa (metafora della fortezza vuota), in seguito come un deficit cognitivo (mind blindness) che consisteva nell’incapacità di sviluppare in modo competente una teoria della mente dell’altro. Oggi si parla di deficit di empatizzazione. Secondo Gallese anche questa è però una visione parziale, perché basta parlare con le famiglie dei soggetti affetti da autismo, o con soggetti autistici ad alto funzionamento, per capire come non si possa nemmeno dire che questi soggetti siano sempre necessariamente incapaci di provare empatia (Gallese, 2014).

Come già lo stesso autore aveva spiegato nel 2006, i deficit di empatia dei soggetti autistici possono almeno in parte dipendere da un deficit di base dei meccanismi della simulazione incarnata, a sua volta determinato da un malfunzionamento del sistema dei neuroni specchio. In particolare, nella sfera affettivo-emozionale, numerosi studi hanno mostrato che i bambini autistici hanno difficoltà nell’espressione facciale delle emozioni e nella comprensione dell’espressione facciale, delle emozioni altrui. E’ stato inoltre dimostrato che soggetti autistici ad alto funzionamento, pur essendo in grado di riconoscere ed imitare l’espressione di alcune emozioni di base, lo fanno utilizzando circuiti cerebrali diversi da quelli che risultano normalmente attivati in soggetti sani. In particolare, i soggetti autistici mostrano un’assenza totale di attivazione del sistema premotorio dei Neuroni Specchio ed un’ipoattivazione dell’insula e dell’amigdala, con invece un’iperattivazione delle cortecce visive. Quindi senza la simulazione incarnata permessa dai Neuroni Specchio, manca a questi soggetti la capacità di dare un contenuto esperienziale al mondo affettivo degli altri, che rimane accessibile unicamente (quando possibile) mediante una ricostruzione teorico-cognitiva.

Secondo Gallese (Gallese, 2014), non si può dire che l’Autismo sia causato da un’assenza o da un deficit dei Neuroni Specchio; quello che possiamo dire è che un funzionamento alterato di molti di questi meccanismi si trova verosimilmente alla base dei problemi di natura mimetico-imitativa e in senso più generale, prassico, che molti individui affetti da autismo mostrano: la capacità di cogliere gli aspetti affettivi del movimento, le forme vitali di cui parlava Daniel Stern (Stern, 1987), si è dimostrato, in un campione di individui affetti da sindrome dello spettro autistico, essere deficitaria.

In uno studio del 2010 la dott.ssa Maddalena Fabbri Destro, del gruppo di ricerca dell’Università di Parma guidato da Rizzolatti, ci spiega che, riguardo alla capacità dei soggetti autistici di riconoscere l’intenzione alla base di un’azione altrui, ci sono posizioni contrastanti, dovute presumibilmente all’utilizzo di un’unica parola, appunto “intenzione”, sia per indicare il goal del singolo atto motorio (what, che cosa sta facendo?) come ad es. sta afferrando una tazza di caffè, sia il goal dell’azione (why, perché lo sta facendo?) ad es. per bere o per spostarla. L’uso dello stesso termine per descrivere due differenti processi induce inevitabilmente in errore, in quanto il primo processo (what) contempla l’immediata comprensione dell’atto motorio osservato (come se fosse una fotografia), mentre il secondo (why) contempla una predizione del goal finale dell’intera azione. Mentre il primo processo non richiede necessariamente la comprensione di stati mentali dell’agente che sta eseguendo l’azione, il secondo potrebbe richiederli. Quando siamo chiamati a comprendere che cosa (what) l’altro sta facendo, oltre al meccanismo specchio abbiamo a disposizione una serie di altre informazioni: l’oggetto di per sé fornisce informazioni semantiche su quali siano le azioni in genere eseguite con quell’oggetto. Inoltre, una semplice associazione tra oggetto e alcuni atti motori può fornire elementi per capire cosa l’agente, con più probabilità, sarà portato a fare. Così anche se il sistema specchio è compromesso, il riconoscimento del what potrebbe rimanere intatto. Più complessa risulta la situazione in cui siamo chiamati a capire l’intenzione dell’altro.

Evidenze cliniche suggeriscono che un deficit nella comprensione dell’intenzione altrui è presente nei bambini con autismo: già Leo Kanner, nel suo articolo Disturbi autistici del contatto affettivo, pubblicato nel 1943, riferiva come quasi tutte le madri esprimessero il loro stupore di fronte all’incapacità del bambino di assumere una postura anticipatoria, prima di essere presi in braccio.

Per valutare se le catene motorie che permettono di organizzare l’intenzione motoria e di comprenderla fossero funzionanti nei bambini con autismo, la dott.ssa Fabbri ha effettuato un test elettromiografico su un gruppo di bambini affetti da autismo. I risultati hanno dimostrato una marcata differenza nell’attivazione del muscolo miloioideo, sia durante l’esecuzione, che durante l’osservazione del prendere per mangiare. Sorprendentemente, l’attività muscolare era completamente assente durante il raggiungimento e l’afferramento del cibo, comparendo solo quando il cibo veniva portato alla bocca. Ancora più evidente era il deficit durante l’osservazione in cui il muscolo miloioideo rimaneva silente. Appare dunque evidente che l’osservazione dell’azione eseguita da un altro non riesce ad attivare nei bambini con autismo quella copia motoria che normalmente permette di capire l’intenzione degli altri.

Un secondo esame, eseguito sempre dalla dott.ssa Fabbri, nell’ambito dello studio del 2010, mostra che nei bambini a sviluppo tipico, la difficoltà dell’atto motorio finale, in una sequenza formata da più atti motori, influenza i tempi del movimento del primo atto motorio, in considerazione della difficoltà dell’atto motorio finale. Questo perché i bambini a sviluppo tipico programmano l’azione globalmente, piuttosto che suddividerla in una sequenza di passaggi indipendenti. Questo studio mostra come invece nei bambini con autismo questo meccanismo di selezione non funzioni correttamente, portandoli a programmare i singoli atti motori indipendentemente gli uni dagli altri e impedendo loro di trasformare l’intenzione motoria in un’azione fluida.

Il sistema specchio è quindi deficitario nell’autismo e impedisce ai bambini affetti da questa sindrome la comprensione e l’interazione con gli altri, ma come spiega nella sua ricerca la dott.ssa Fabbri, la recente scoperta dell’organizzazione a catena degli atti motori, durante l’esecuzione e l’osservazione dell’azione, ha sicuramente ampliato il concetto di meccanismo specchio mostrando che, oltre al meccanismo di base (dei neuroni specchio che descrivono un atto motorio), vi è un meccanismo più complesso, basato sui neuroni action-constrained, che codifica non solo che cosa l’osservatore vede, ma anche l’intenzione dell’agente.

Secondo la dott.ssa Fabbri quindi, i bambini con autismo comprendono le intenzioni basandosi su informazioni visivo-contestuali, sulla semantica degli oggetti e non sull’analisi motoria dell’azione osservata, che è necessaria per l’attivazione del sistema specchio (Fabbri, 2010).

Secondo Gallese, è sempre più chiaro quindi come ci sia un problema nel wiring (connessione) e nello sviluppo del cervello, verosimilmente perché c’è una componente di predisposizione genetica molto importante, che in seguito si declina in un ambiente, in un mondo di relazioni, che modulano l’espressione di questa predisposizione a sviluppare la malattia. “Attualmente il nostro approccio”, prosegue Gallese nella video intervista, “rivaluta alcuni aspetti della descrizione clinica dell’autismo, quelli pragmatico-disprassici, quindi in altre parole, la componente motoria. Pensiamo che il motorio giochi un ruolo fondamentale nello sviluppo delle nostre facoltà cognitive”. Questo approccio all’autismo ha generato un nuovo filone di ricerca, che sta dando risultati interessanti. Secondo il Neuroscienziato, non siamo ancora in grado di stabilire quanto questo possa dare conto di tutto lo spettro, ma alcuni degli interventi più efficaci in termini di riabilitazione, di terapia relazionale dell’autismo, sarebbero interventi focalizzati sulla corporeità, sull’educazione alla sincronicità dei movimenti con l’altro, quindi laboratori di Arteterapia, di Danzaterapia e di psicomotricità, che privilegiano l’aspetto dell’espressione corporea della relazione, rispetto ad altri che utilizzano un setting più cognitivo-comportamentale (Gallese, 2014).

Dalle Neuroscienze abbiamo allora un importante contributo a riscoprire il ruolo del corpo in quella forma mediata di intersoggettività che è l’espressione artistica e creativa. Il processo creativo infatti, nonostante la generale tendenza ad una progressiva astrazione ed esternalizzazione, mantiene inalterato il suo legame col corpo, che non è soltanto lo strumento di produzione delle immagini, ma anche della loro ricezione. Quindi osservare il mondo e gli oggetti artistici è in realtà molto più complesso della semplice attivazione del cervello visivo. Osservare il mondo implica anche l’attivazione di componenti sensori-motorie ed affettive.

Un elemento cruciale dell’esperienza estetica consiste proprio nell’attivazione di meccanismi incarnati (embodied) che comprendono la simulazione dei gesti, delle emozioni e delle sensazioni somatiche contenute nell’immagine.

Sebbene modulati socio-culturalmente, questi meccanismi sono universali.

L’opera d’arte media la risonanza motoria ed affettiva che scaturisce tra l’artista e il fruitore.

Gli aspetti sensori-motori dell’elaborazione dello stimolo artistico da parte dell’osservatore rappresentano il livello più diretto ed automatico di processazione che consente al fruitore di sentire l’opera in modo corporeo ed incarnato (Gallese 2018).


Bibliografia

Fabbri Destro, M. Pianificazione e comprensione dell’azione nell’autismo, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Parma, anno accademico 2009/2010.

Kanner, L. Disturbi autistici del contatto affettivo, The Nervous Child, 1943.

Stern, D. (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Editore Boringhieri, Torino 1992.


Sitografia

Gallese, V., Migone P., Morris N.E., La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività ed alcune implicazioni per la psicoanalisi, www.psicoterapiaescienzeumane.it, 2006.

Gallese, V., Vittorio Gallese, sull’autismo, Speciale Neuroscienze, https://www.youtube.com, 2014.

Gallese, V., Empatia ed esperienza estetica. Una prospettiva neuroscientifica. Conferenza, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, https://www.youtube.com, 2018.

 

Share: