Il caso del Signor Giovanni si presta a comprendere il concetto di ‘terza mano’, particolare aspetto legato alla metodologia “Arte come terapia”.
Nella relazione con il Signor Giovanni sperimento il concetto di ‘terza mano’ nel momento in cui intervengo attivamente nel suo lavoro artistico, pur rispettando le sue scelte espressive.
Edith Kramer, a questo proposito, sottolinea quanto sia importante mantenere una comunicazione empatica con “l’immaginazione creativa di un’altra persona al punto da indovinare le sue idee, metter mano attivamente al suo lavoro senza imporre il proprio stile” (1977, p. 108), ripresentando così alla persona le proprie intenzioni chiarificate, ma non alterate.
Il mio intervento di ‘terza mano’ si rivela un’occasione di interazione interpersonale significativa, che permette a me e al Signor Giovanni di costruire un campo intersoggettivo relazionale in grado di favorire la comunicazione e l’espressione laddove non sembravano possibili.
Wilma Cipriani (2006) descrive come attraverso l’imitazione figurativa siano possibili l’identificazione e la sintonizzazione affettiva, facendo riferimento all’attività dei “neuroni mirror”, che permettono l’attivazione della funzione empatica e dell’imitazione.
La ricerca neuroscientifica ci ha permesso di comprendere, infatti, che “empatizziamo” con gli altri, attraverso il meccanismo della “simulazione incarnata”. Un’azione osservata o compiuta comporta l’attivazione degli stessi neuroni. Lo stesso meccanismo viene messo in atto dal fruitore di un’opera d’arte, come apprendiamo da David Freedberg e Vittorio Gallese (2008) e come ci insegna la neuroestetica. Pertanto, possiamo pensare all’arte come ad una forma mediata di intersoggettività.
Credo che tali meccanismi si siano messi in atto nel signor Giovanni nei momenti in cui disegnavo per lui e che ciò abbia reso possibile la nostra relazione e l’attivazione di un suo personale processo creativo.
Il Signor Giovanni è un uomo di 85 anni, di piccola statura e di corporatura minuta. Presenta un volto dai lineamenti sottili, occhi grigi, radi cortissimi capelli bianchi, mani con dita elegantemente lunghe. Un tempo svolse la professione di falegname, suonò con passione pianoforte e fisarmonica, coltivò l’interesse per il modellismo.
Colpito da ipertrofia prostatica, soggetto ad un progressivo deterioramento psico-fisico ed un incipiente Morbo di Alzheimer appena diagnosticato, diviene ospite della Casa di Riposo in cui conduco interventi di arteterapia.
Non più autosufficiente, costretto alla sedia a rotelle, denuncia sofferenza fisica, manifesta uno stato depressivo imponente, mostra talora forte irrequietezza, esplodendo con aggressività nei confronti di operatori ed ospiti della struttura. Unico parente a fargli visita regolarmente, uno dei figli. La moglie è deceduta.
Dice di essere “ormai un uomo finito”. Si rifiuta di essere condotto in atelier poiché ogni sobbalzo acuirebbe il suo dolore.
Un giorno scelgo di attendere che il Signor Giovanni sia condotto in un salone comune. Uno dei tavoli presenti, a margine della stanza, è libero. Mi accordo con l’operatore affinché la sua sedia a rotelle sia collocata accanto a quel piano. Su di esso dispongo fogli e materiali artistici. Quando il Signor Giovanni arriva, lo accolgo salutandolo con un sorriso. Mi rivolge uno sguardo assente; il suo corpo è immobile, rigidamente diretto frontalmente; le sue mani, lievemente deformate dall’artrosi, intrecciano le dita chiudendosi come pietrificate all’altezza dello stomaco. Mi siedo al suo fianco. Rimango qualche istante in silenzio. Quindi cautamente apro la scatola degli acquerelli. Calibrando il tono della voce, domando se ci sia un colore che gli piaccia. Attendo la risposta per un tempo che mi sembra infinito. “Il verde è un bel colore”, comunica infine senza turbare il suo stato di fissità, ma come se vi avesse attentamente riflettuto. “Cosa potrei dipingere con un bel colore verde?”, sento di poter proseguire. “Un prato”. Con pacatezza, accosto al suo campo visivo la tavolozza degli acquerelli, in cui sono presenti due differenti toni di verde. “Quale verde mi consiglia di utilizzare?”. Piano piano, i suoi occhi ruotano lo sguardo verso l’oggetto. E’ a questo punto che il Signor Giovanni scioglie il nodo delle mani e, molto lentamente, fa scivolare il dito in prossimità del verde chiaro. Inumidito il pennello, raccolto il colore indicatomi, deposito stesure orizzontali sul supporto. Il corpo del Signor Giovanni riassume staticità, ma non lo scorrere dei suoi pensieri: “Un albero, con delle foglie, ma non troppe perché confonderebbero tutto… Verde chiaro e un verde un po’ più scuro…”. Accolgo e pittoricamente traduco la sua descrizione. Il foglio è tra noi, così che lui possa seguire l’esecuzione e guidarla. “Buono”, è il suo inaspettato commento, mentre si accende d’espressione il suo volto. “Ora si fermi, perché troppe foglie confonderebbero tutto”. Gli chiedo se ritenga si debba aggiungere qualche altro elemento nella composizione. Nuovamente, il Signor Giovanni libera il busto dall’intreccio delle mani e allunga il dito verso la superficie del foglio. Con estrema delicatezza, il suo gesto disegna ai piedi dell’albero una forma ovale: “Un lago”, precisa. Mi lascio condurre. “Un fiumiciattolo esce dal lago in questo punto… Sale, gira dietro l’albero… E qui si ferma”. Il dipinto è così concluso. Lo dispongo sul tavolo in modo tale che lui possa agevolmente osservarlo, qualora lo desideri. A lungo lo contempla, lasciando che il suo sguardo, non più assente ma disteso, ne accarezzi l’intera superficie. “Bello”, commenta infine (Figura 1).
Figura 1 – acquerelli su carta, 35×25 cm
La settimana seguente, trovo il Signor Giovanni in salone, seduto su una poltroncina vicino al televisore. Mi chiede di slegargli le gambe. A queste rivolge uno sguardo colmo di tristezza. “Vorrei camminare”, comunica supplicando. Esplode quindi in un lamento straziante: “Nessuno mi aiuta… Ma io non sono cattivo… Perché tanta sofferenza… Che senso ha stare al mondo così…”. Parola alcuna può lenire una tale disperazione. Congiungendo le mani, piangendo, comincia a pregare. Io gli sono accanto, ho con me gli acquerelli. Inizialmente, mi interrogo su cosa io possa fare. Poi chiudo gli occhi. Poso la mia mano sulla sua. Avverto che si lascia accogliere. Ascolto… Percepisco le vibrazioni del suo corpo, del suono della sua voce… Inizio a dipingere… Dapprima, dense ombre nere oscurarono la luce del foglio, ferendola di fredde punte di roccia. Quindi, un rosso sanguigno deposita sotto di esse un fluido magmatico, mentre un azzurro vorticoso muove un cielo inquieto. Progressivamente, il lamento del Signor Giovanni assume la forma di una nenia senza parole. Sento placarsi il ritmo del suo respiro. Tento allora di invitarlo all’interazione, accostando a lui il dipinto che ho prodotto e domandandogli se in esso vi sia un colore che gli piaccia. Il Signor Giovanni apre gli occhi. “Questo”, giunge rapidamente la sua risposta precisata dall’indicazione del dito: il rosso magenta. “Ma un po’ più delicato”, mi suggerisce. Immergo il pennello nell’acqua e stendo il tono più fluidamente. “Si fermi prima e lasci andare…”. E da quel momento è lui a condurre. La pellicola cromatica diviene sottile, quasi evanescente. In prossimità del fondo, acquista tepore facendosi aranciata. “Mi piace la sfumatura che dà…”. (Figura 2). Su un nuovo supporto, le sue dita percorrono tratti essenziali, arrotondandosi in forme ‘materne’ e ‘libere’. Accanto all’arancio, l’ocra. “Ora si fermi. Continuare, confonderebbe tutto” (Figura 3). La seduta è terminata. Prendendogli la mano, lo ringrazio e lo informo che ci vedremo la prossima settimana. Il Signor Giovanni stringe la mia mano e, accennando un sorriso, mi guarda fisso negli occhi: “Ci vediamo”, dice fermamente. Mi allontano, ma rimango qualche istante ad osservarlo. Appare tranquillo.
Figura 2 – acquerelli su carta, 35×25 cm
Figura 3 – acquerelli su carta, 35×50 cm
Ha così inizio con il Signor Giovanni un percorso individuale di arteterapia, che vede il succedersi di incontri regolarmente a cadenza settimanale, che giungono ad avere la durata di un’ora. Sempre sono io a condurre a lui l’atelier. Porto con me gli acquerelli, che lui apprezza perché delicati, efficaci nel variare l’intensità del tono, fluidi nel depositare la pennellata. Sistemo il materiale su un piano, a cui avvicino il Signor Giovanni, sedendomi alla sua destra così che possa meglio seguire quanto prodotto sul foglio, che fisso secondo l’orientamento da lui stabilito. Singolare e coinvolgente la modalità con cui si svolgono i nostri incontri: il contatto dei corpi affiancati, il sintonizzarsi del ritmo del nostro respiro, del tono e della cadenza delle nostre voci, dei nostri gesti. Così si svolge il processo creativo: inizialmente, la mia mano impugna il pennello che deposita sul foglio tracciati appena percorsi dallo scorrere del dito del Signor Giovanni sulla stessa superficie; talora le nostre mani si accostano l’una all’altra sovrapponendosi, per compiere insieme una danza che lui elegantemente dirige; quindi, il Signor Giovanni autonomamente interviene nell’elaborazione artistica utilizzando egli stesso il pennello; sempre accompagnando l’evolversi della creazione con una verbalizzazione densa di poesia.
Purtroppo, verso gli operatori e gli ospiti della struttura il Signor Giovanni continua a rivelarsi irritabile, prepotente; vorrebbe sempre dormire; se svegliato, reagisce violentemente, inveendo contro chi si occupa di lui; i momenti del pasto risultano di difficoltosa gestione, poiché scaraventa a terra piatti, posate e bicchieri. Viene lasciato a letto per un tempo sempre maggiore e isolato dagli altri ospiti, che frequentemente assale senza apparente motivo. Io svolgo gli incontri nel corridoio, là dove si dilata in un’area illuminata da un’ampia vetrata e dotata di tavolo e sedie. Trovo il luogo confortevole e maggiormente idoneo rispetto al salone.
La “piccola bestia” costituisce il soggetto principale delle opere che il Signor Giovanni realizza in una prima fase del percorso: essa si offre quale occasione di esplorazione e manifestazione del proprio mondo interno, si presenta quale metafora della percezione del suo corpo e dell’attività della sua mente. Le “zampette” sono l’elemento cui primariamente dedica la propria attenzione: attraverso di esse, il Signor Giovanni modella pittoricamente il suo desiderio di muovere il proprio corpo, da un lato confidando la sofferenza dovuta all’impossibilità di camminare, dall’altro vincendo il dolore dovuto alla mobilitazione del braccio.
“Una piccola bestia. Qui c’è la testina… Qui la bocca… Vede? E’ una piccola bestia. Cammina sulla terra. Adagio adagio… Le sue zampette. Si muove piano piano. Sulla terra. Con le sue zampette” (Figura 4).
Figura 4 – acquerelli su carta, 25×35 cm
“Un uccello. La testina… La bocca… Vede? Sta camminando a terra, lentamente, con le sue zampette” (Figura 5).
Figura 5 – acquerelli su carta, 35×25 cm
Straordinariamente presente ed attivo si mostra il Signor Giovanni in una seduta successiva. Ben presto vuole il pennello. Spalancando gli occhi, agganciando il supporto di fronte a sé, muove sul foglio pennellate lunghe e fluenti, che fa scivolare in percorsi ampiamente ondeggianti. Toni differenti, aperti e vitali, creano una composizione dinamica che si estende armoniosa sull’intera superficie del foglio. “Mani con dita… Braccia… Che si muovono…”. Quelle mani, quelle dita, quelle braccia descrivono la porzione superiore del corpo del Signor Giovanni mentre dirige l’esecuzione, si allunga ad incontrare la tavolozza di colori o il bicchiere con l’acqua, si solleva e si abbassa, avanza ed indietreggia per meglio verificare e valutare l’esito ottenuto. Il dipinto, autonomamente prodotto, suscita in lui grande soddisfazione (Figura 6).
Figura 6 – acquerelli su carta, 25×35 cm
L’opera è testimonzanza dell’attivazione del Signor Giovanni, fisica e mentale e sul piano dell’autonomia.
Significativa l’opera seguente. All’interno di una grande foglia da me dipinta secondo le sue indicazioni, il Signor Giovanni inserisce, in una alternanza di verdi e arancio, una ricca varietà di stesure: linee diritte ed ondeggianti, di differente lunghezza e dimensione; punti e macchie diversamente estese. Procede lentamente, minuziosamente calibrando ciascun intervento e rigorosamente esaminando l’esito di volta in volta raggiunto. Si abbandona poi ad una approfondita verbalizzazione: apprendo che “tante piccole bestie”, le une strettamente “collegate” alle altre, “si muovono piano piano” entro l’area foglia. Ogni movimento dell’una, determina il movimento dell’altra. Un’infinità di piccole bestie, alcune in evidenza, altre solo parzialmente visibili poiché situate “dietro ad un’altra”, altre ancora “nascoste”, affolla lo spazio dal quale “non è possibile uscire”. “Le piccole bestie, tutte collegate, si muovono quel tanto che riescono e possono muoversi… Ma stanno bene così” (Figura 7). L’opera appare manifestazione di avvenuti processi di ‘connessioni interne’, i quali rendono possibile la creazione di immagini sempre più complesse, favoriscono il loro articolato trasferimento sul foglio, consentono il loro chiaro e dettagliato racconto. Il Signor Giovanni sente di ‘muoversi quel tanto che riesce e che può’ e ‘sta bene così’. Quel giorno, alla domanda “come sta” che gli avevo rivolto salutandolo, lui aveva risposto: “Un poco alla volta…”. Quasi cominciasse, non più ‘uomo finito’, ad intravedere un presente forse accettabile.
Figura 7 – acquerelli su carta, 25×35 cm
Davvero toccante il modo in cui il Signor Giovanni entra in relazione con la propria opera. In essa totalmente si immerge, ad essa con immenso impegno si offre, vincendo con coraggio le difficoltà dovute agli impedimenti fisici ed alla sofferenza che tormenta la sua esistenza; attraverso di essa contatta uno stato di pacatezza e serenità, in cui l’aggressività ed il senso di solitudine che ordinariamente lo invadono non trovano spazio.
Accade un giorno che la mente del Signor Giovanni incontri un’immagine prima di dare inizio all’esecuzione pittorica: “Mare… Vorrei dipingere il mare…”, comunica come rapito. Con commovente sforzo si dedica alla realizzazione, come trasportato da suoni, colori, luci, odori. “L’acqua del mare… Che si unisce alla terra… Le onde del mare… La loro schiuma… Una mareggiata… E qui, piccola, una nave… Sta navigando… Un fiume porta acqua al mare… Ed anche la nave porta acqua al mare…” (Figura 8).
Figura 8 – acquerelli su carta, 25×35 cm
La mia ‘terza mano’ non è necessaria. Nella sua immagine, una percezione significativa della propria esistenza.
In uno degli ultimi dipinti io e il Signor Giovanni, per sua volontà, collaboriamo. Non richiedono spiegazioni le sue parole: “Terra… Un giardino di noci e meli… Due capanne… Un uccellino si posa su un ramo per riposare… Gli alberi con le loro radici… Semi nella terra…” (Figura 9).
Figura 9 – acquerelli su carta, 25×35 cm
Bibliografia
Cipriani W., “Arteterapia e relazione terapeutica”, in A cura di Bellazecca, Peserico, Rabboni, “Curare con le arti. Neuroscienze e tecniche espressive”, Update Internationale Congress Edizioni, 2006
Freedberg D., Gallese V., “Movimento, emozione, empatia”, in Prometeo, Arnoldo Mondadori Editore, settembre 2008
Kramer. E. Arte come terapia nell’infanzia, La nuova Italia, Firenze, 1977
Santarcangelo V., “Dialoghi di estetica. Parola a Vittorio Gallese”, in “Artribune”, n. 5 anno 2005
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