cARTeggi – n. 3 – Maggio 2021

ARTICOLO
ARTETERAPIA E AUTISMO: UN APPROCCIO METODOLOGICO POSSIBILE
Alice Riccardi, Arteterapeuta Clinica ed Educatrice professionale socio-pedagogica

Nel presente contributo cercheremo di dimostrare, attraverso fondamenti concettuali e metodologici ed esperienze cliniche dirette, come l’Arteterapia, nell’accezione di “Arte come terapia”, possa rappresentare non solo un’opportunità e una nuova scommessa di natura abilitativa e riabilitativa nell’ambito dei disturbi dello Spettro autistico, bensì anche uno spazio di espressione, di comunicazione e di interazione potenziale.

L’Arteterapia, nell’accezione metodologica di “Arte come terapia”, può rappresentare un’occasione di espressione e un ponte comunicativo alternativo, in grado di far emergere e di germogliare, attraverso il fare artistico, l’esperienza soggettiva e il potenziale intersoggettivo, che, universalmente e filogeneticamente, cabla le circuiterie cerebrali di ogni essere umano, al di là del livello di compromissione corticale e dell’inquadramento diagnostico.

In tal senso, lo spazio fisico dell’atelier – protetto, strutturato, identificabile visivamente, circoscritto, contenuto dal punto di vista sensoriale, neutro e confortevole, diviene territorio del Sé, spazio mentale e luogo dell’esperienza, della prossimità e dell’appartenenza; cornice contenitiva che accoglie, agevola, evoca, motiva, conferma e rivela; spazio chiarificatore che, eliminando le parti distraenti, permette all’apprendimento di affiorare, al gesto di svincolarsi dalla contrazione delle stereotipie, delle difese e della sofferenza psichica e alle parti creative di fluire liberamente, in modo spontaneo, intenzionale e realizzante –;

il tempo, come cornice di un’esperienza interiore radicata nel qui e ora e anticamera del senso di identità – costante, prevedibile e ritualizzato, al fine di permettere alle informazioni nuove di essere processate e acquisite con sicurezza, tollerando maggiormente i livelli di attivazione, e, di conseguenza, di aderire con maggiore presenza e partecipazione al dispiegarsi della relazione –;

i media artistici – in qualità di strumenti concreti, atti a veicolare la presenza e la comunicazione altrui in termini visivi, uditivi e cinestesici, e di generatori motivazionali che, aggirando il lògos,  stimolano scoperte e sperimentazioni attraverso il fare artistico, richiamando a livello sensoriale e implicito il bisogno ancestrale di ogni essere umano di creare e di giocare con la materia, attraverso modalità sensoriali, percettive e motorie appaganti e sostenibili –;

il processo creativo – attraverso il quale il gesto, elevato ad azione, e la traccia testimoniano la presenza, il pensiero e la volontà di ogni essere umano di sentirsi ancora e nonostante tutto protagonisti e ancora in grado di scegliere e di agire attivamente e trasformativamente –;

l’arteterapeuta, in qualità di caregiver supportivo, responsivo ed empaticamente sintonizzato;

e la presenza di un gruppo stabile nel tempo – fonte di rispecchiamento, riconoscimento, convalida e gratificazione e territorio della relazione, dell’appartenenza e della prossimità – concorrono a creare un ambiente favorevole, all’interno del quale le risposte implicite condizionate, ricorsive, non adattive e di natura prettamente auto-regolativa, possono lasciar spazio anche alla nascita, alla riscoperta o alla riattivazione di quei correlati comportamentali, come sottolineato dalla psicomotricista e terapista della famiglia Cesarina Xaiz e dallo psicologo, psicoterapeuta e analista del comportamento Enrico Micheli (Cfr. Xaiz e Micheli 2015, pp. 42-50), necessari allo sviluppo dell’intersoggettività primaria (orientamento rispetto a uno stimolo, attivazione, attenzione, interesse per il viso umano, capacità di alternanza nei turni, integrazione di diverse modalità sensoriali in nuove configurazioni incrociate) e, persino, secondaria (attenzione congiunta, imitazione, emozione congiunta, intenzione congiunta e scambio di turni).

Un esempio concreto e rappresentativo di questo lento ma costante cammino di riorganizzazione globale, di sviluppo di più raffinate e complesse abilità intersoggettive e di intenzionalità nuova può essere l’excursus artistico di Mario, un giovane ragazzo di ventuno anni, che frequenta regolarmente un servizio semiresidenziale sociosanitario a regime diurno.

Dal punto di vista diagnostico il suo funzionamento viene ricondotto allo Spettro autistico ed è caratterizzato da:

un deficit persistente nella comunicazione e nell’interazione sociale, che frequentemente produce come esito scarsa reciprocità emozionale, anomalie e goffaggine nell’approccio sociale, marcata difficoltà nel condividere interessi e affetti, anomalie nel contatto visivo e nel linguaggio corporeo, soprattutto per quanto concerne la distanza prossemica, difficoltà nell’adattare il proprio comportamento ai diversi contesti sociali e linguaggio verbale idiosincratico, poco modulato nella prosodia e tendenzialmente monocorde e sempre accompagnato da movimenti ritmici del tronco e delle gambe, che spesso vanno ad inficiare o addirittura a compromettere la comprensione del messaggio in entrata, innescando in lui grande frustrazione, senso di inadeguatezza e tendenza ad abbandonare la conversazione dopo pochi scambi comunicativi;

modelli di comportamento ristretti e ripetitivi che condizionano la sua routine e che generano poca flessibilità ai cambiamenti, agli imprevisti e alla disattesa dell’aspettativa, che spesso si traduce in veri e propri episodi di meltdown, ossia un sovraccarico sensoriale o emotivo che genera un vero e proprio corto circuito cerebrale e che si traduce, nel suo caso, in comportamenti aggressivi auto-indotti (si batte con forza le nocche sulla fronte);

interessi circoscritti e perseverativi (in particolar modo nei confronti della zoologia, dell’astronomia e della cinematografia fantasy) e forte attaccamento verso alcuni oggetti in particolare, come per esempio i dispositivi elettronici, in particolar modo il computer, attraverso i quali può visionare video e immagini;  

iper-reattività agli stimoli acustici (in particolar modo nei confronti di rumori troppo forti e del brusio di sottofondo) – che spesso determina incapacità di distinguere tra rumori di sottofondo e di primo piano, attenzione fluttuante e necessità di essere supervisionato nella gran parte delle attività di routine quotidiana –, e disturbi della visione (fotosensibilità).

L’inserimento di Mario all’interno dell’intervento di Arteterapia è stato caldeggiato da tutti gli operatori del centro diurno, al fine di offrirgli una parentesi alternativa e nuova, all’interno della quale poter elaborare e mettere in atto comportamenti autoregolativi e una maggiore reciprocità comunicativa e intenzionale.

Grazie alla prevedibilità spazio-temporale del setting arteterapeutico, alle stimolazioni sensoriali dei diversi media artistici e alla stabilità della cornice relazionale, Mario, proprio attraverso il fare artistico e alla forza organizzatrice di una sincronicità gestuale condivisa e rispecchiata, ha avuto la possibilità di riattivarsi dal punto di vista psico-motorio, ampliando la gamma dei comportamenti esplorativi, creativi ed espressivi; ricercando e sviluppando nuove modalità adattive di auto- ed etero-regolazione; rinforzando capacità cognitive residue e incentivando anche lo sviluppo di competenze emergenti; promovendo e vedendosi convalidate iniziative e comportamenti autonomi; incrementando il senso di identità e la capacità di agency e ampliando codici comunicativi e canali espressivi alternativi, in particolar modo quello simbolico.

Come opere esemplificative di questo percorso artistico ed espressivo, portato avanti per venti incontri, vale la pena avvicinare due elaborati in particolare, sviluppati a distanza di sei settimane l’uno dall’altro e intitolati rispettivamente:

“Il fenicottero”, realizzato durante il primo incontro con pennarelli a punta grossa su foglio bianco e liscio 30×42 cm e accompagnato dall’immagine campione di riferimento;

e “L’Africa…opera favolosa perché è l’Africa”, realizzata durante il settimo incontro con pennarelli a punta grossa su foglio A4 bianco e liscio – gli animali sono stati collocati sullo sfondo tramite la  tecnica collage –.

Mettendo le due opere a confronto, possiamo cogliere istantaneamente il passaggio da un’immagine visiva polarizzata – che porta in superficie una Gestalt caratterizzata da una percezione frammentaria che iper-seleziona particolari stimoli rispetto a una situazione o a un intero di riferimento, dando origine a singole unità, che non costituiscono parti integrate e significative di un tutto, bensì entità separate e non correlate, viste più analiticamente che olisticamente, come afferma Olga Bogdashina, Master in educazione sull’autismo e PhD in linguistica (Cfr. Bogdashina 2015, pp. 74-80) – a un mondo più coeso e categorizzabile, arricchito non solo dal punto di vista grafico, bensì anche dal punto di vista comunicativo, psicomotorio, cognitivo ed emotivo.

Da un soggetto immobile e sospeso, come “il fenicottero” del primo elaborato, tratto e copiato da immagini di campionario, si passa a una rappresentazione libera e svincolata da modelli di riferimento, in cui lo stesso “fenicottero”, ora ben adagiato nell’acqua, appare inserito in un ecosistema integrato e coeso, in grado di ospitare pacificamente animali (procedendo dal basso verso l’alto e da sinistra verso destra: “iena, leone, leonessa, coccodrillo, fenicottero, marabù, avvoltoio sull’albero, gnu, rinoceronte, elefante, suricati, tende degli indigeni, tucano, giraffa), famiglie di animali (come quella dei felini, dotati persino di espressione emotiva) e comunità umane.

È un habitat aperto, che, grazie alla campitura, diviene prospettico, ampio, vivo, ricco di sfumature (seppure queste ultime appaiano ben delimitate, adiacenti e non compenetranti) e di livelli esistenziali (acqua, aria, terra).

Ogni animale ha una collocazione ben precisa che gli permette di esistere e di co-esistere in modo sostenibile.

Questo grandissimo traguardo compositivo e simbolico testimonia e porta con sé anche importanti ricadute comportamentali e comunicative.

Dai primi incontri, durante i quali Mario, a sguardo basso ed evitato, entrava in atelier, indossava la sua camicia di lavoro, preoccupandosi di abbottonare tutti i bottoni, prendeva velocemente posto, sceglieva e si approvvigionava in modo fugace dei materiali artistici maggiormente conosciuti e più vicini alla propria postazione, necessitava di immagini campione conosciute e già sperimentate per attivare e sostenere il proprio processo creativo, manifestava ansia da prestazione e rigidità esecutiva, verbalizzava in modo conciso e olofrastico, faticava a sostenere la vicinanza dei compagni, palesava reattività (dando calci alle gambe del tavolo o sbattendo il pugno sul tavolo), in particolar modo nei confronti dei rumori provenienti dall’esterno o prodotti dai compagni durante l’esplorazione della tavola imbandita e l’elaborazione artistica e assumeva posture difensive (il tronco era costantemente ripiegato su se stesso e le gambe spesso incrociate),

grazie alla costanza, alla ritualizzazione e alla prevedibilità del setting arteterapeutico, lentamente è stato in grado di restringere il ventaglio delle risposte condizionate, permettendo allo sguardo di sollevarsi, di dirigersi anche verso gli altri da sé e di triangolare; al gesto di divenire più morbido, intenzionale e più espanso, come testimoniato dall’utilizzo di supporti cartacei via via di formato più grande; al respiro di farsi più profondo e sonoro, in particolar modo durante l’immersione nel processo creativo; al volto di ospitare microespressioni più morbide e persino sorrisi; alla voce di divenire maggiormente udibile, modulata ed etero-diretta, sia nei confronti dei compagni, in particolar modo durante la verbalizzazione finale, offrendo loro commenti descrittivi, inerenti ai colori e agli elementi figurativi utilizzati, e giudizi di valore (“bello”, “mi piace”, “bravo”), sia dell’Arteterapeuta, chiedendo espressamente aiuto durante elaborazioni maggiormente complesse dal punto di vista tecnico; al corpo di muoversi, di allentare le tensioni e le rigidità posturali, di alzarsi dalla propria postazione per ricercare tonalità cromatiche particolari o immagini campione alternative a quelle conosciute, di esplorare il setting (occupandosi, nel tempo, non solo del riordino della propria postazione, bensì anche preoccupandosi della pulizia dei pennelli e dei materiali di supporto utilizzati dagli altri compagni, della disposizione dei tavoli e delle sedie e del ricollocamento dei materiali artistici nell’armadio di riferimento) e di conquistare nuovi spazi fisici (occupando tutto lo spazio della propria postazione e, a volte, sconfinando in quello dei compagni) e cognitivi con un’attenzione focalizzata non solo su di sé, sul proprio lavoro e sui propri bisogni personali, bensì anche sulla presenza degli altri, delineando, in tal modo, inediti itinerari comunicativi e intersoggettivi che hanno arricchito la mappa del proprio e dell’altrui paesaggio interiore, permettendo, come tappa finale, l’interiorizzazione di isole di coerenza che, sommate, hanno costituito un’esperienza globale e condivisa.

Grazie al percorso artistico di Mario, è stato ed è possibile dimostrare come l’Arteterapia sia in grado di assumere su di sé una prospettiva antropologica nuova, che vede l’uomo nella sua unicità e irripetibilità, al centro delle sue scelte e dei suoi desideri; un uomo inserito in una cerchia di relazioni significative e valorizzanti, in grado di rispecchiare l’identità e le potenzialità insite in essa.

Rispettando i termini della differenza e della diversità, ogni persona viene colta e accolta nel pieno della propria competenza, al di là del malessere psichico o delle ferite del corpo, e ciò rende l’individuo capace di sperimentarsi in modo attivo, di mobilitare energie, di risignificare le esperienze somato-psichiche e di integrare le emozioni e gli affetti in schemi cognitivi qualitativamente sempre più sofisticati, avvicinabili e rappresentabili anche dal punto di vista grafico e simbolico in un’area intermedia nella quale i significati si generano e si organizzano proprio grazie a un mezzo espressivo alternativo, condiviso e rispecchiato.


Bibliografia

Bogdashina O. (2011), Le percezioni sensoriali nell’autismo e nella sindrome di Asperger, Uovonero Edizioni, Crema 2015;

Micheli E. e Xaiz C. (2001), Gioco e interazione sociale nell’autismo. Cento idee per favorire lo sviluppo dell’intersoggettività, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento 2015.  

 

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