cARTeggi – n. 3 – Maggio 2021

ARTICOLO
RI-METTERSI IN FORMA. DANZAMOVIMENTOTERAPIA NEL DISTURBO DELL’ANORESSIA NERVOSA
Susan Vettori, diplomata presso Dancehaus, laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore, in formazione DanceCare presso Lyceum Accademy e presso la facoltà di Psicologia Clinica, Dinamica e di Comunità dell’Università Guglielmo Marconi

ABSTRACT

La capacità di cura della DMT nel trattamento del disturbo anoressico risiede nella possibilità di portare le persone alla soglia di un’esperienza di autenticità del se’ a sé che non è esprimibile a parole, pena la sua dissoluzione: essa rimane un’esperienza ineffabile che riconsegna il soggetto all’inconscio per un tempo sufficiente a creare pensiero (De Tommasi, 2012).

LO SPAZIO MENTALE DELL’ARTE: DARE FORMA AD UNA CONOSCENZA INCARNATA

“Quando ci rifiutiamo di essere consapevoli della nostra esperienza, il nostro corpo … prende il sopravvento nell’incarico di conoscere e ricordare, sentire e reagire, di difendere, attaccare e fuggire. Così, incessantemente, il corpo conosce quello che la mente non sa” (Weiner, 1974). Secondo Bion (1988) l’odio, l’invidia e la paura primitiva delle proprie pulsioni, possono essere talmente grandi nel bambino da produrre come tentativo di difesa la cancellazione della coscienza di provare dei sentimenti, quindi una scissione tra esperienza concreta ed esperienza psichica (Govoni, 2012), tra soma e psiche. L’individuo rimane imprigionato in un insieme di sensazioni fisiche, stati corporei inconsapevoli e patterns motori che vanno a costituire una vera e propria memoria implicita, una conoscenza non pensata che altera la sua personalità (Massa, 2012). Proteggendosi sotto una “corazza caratteriale” (Reich, 1933) il soggetto rischia così di tagliare fuori intere parte del proprio Se’ e di limitare considerevolmente la propria vita. Tali strategie hanno dunque un effetto profondamente disadattivo, perché lo escludono sempre più dal mondo esterno, rendendolo impermeabile ad ogni tentativo di attaccamento e di regolazione affettiva (Bolwby, 1969; Brazelton & Cramer, 1990; Stolorow & Atwood, 1992; Tronick, 2008).

In questi soggetti risulta inibita qualsiasi capacità di rappresentazione, sia essa intesa come possibilità di simbolizzare ed elaborare pensieri, piuttosto che legata ad attività psichiche come il ricordare e il sognare. Esse sono fondamentali per la possibilità di coinvolgersi in processi di introiezione, assimilazione, rimozione e apprendimento, da cui dipendono la “digeribilità” dell’esperienza e la consapevolezza di sé stessi e del mondo (Govoni, 2012).

Il processo di simbolizzazione concerne la capacità umana di esprimere nozioni, concetti, sentimenti, ecc. mediante simboli, rappresentazioni che sono in grado di evocare la relazione tra un oggetto concreto e l’immagine mentale che rappresentano, ossia segni investiti di un significato specifico mediante una relazione di tipo analogico o convenzionale. La proprietà del simbolo di mettere insieme, far coincidere, rappresentare, significare appunto, è ciò che permette di dare forma a qualcosa di “effimero”, di ideale, nel senso di appartenente all’ordine delle idee. In qualche modo di sostituire un’esperienza concreta, poi rappresentata, in qualcos’altro di esperibile, di fare da ponte tra esperienze più o meno esprimibili e comunicabili, permettendo all’uomo di districarsi tra le varie vicende della vita in un continuo processo di costruzione, de- e ri- costruzione di senso. Questo processo può accadere più o meno consapevolmente, e concernere contenuti più o meno consapevoli.

L’esperienza artistica rimanda ad una dimensione simbolica protomentale in cui esperienza, carica istintuale e rappresentazione coincidono, ad un tempo che precede quello dell’essere in quanto identità e coscienza. Essa rappresenta una delle più importanti modalità di espressione dell’uomo poiché il processo creativo permette di dare una formatività alle proprie esperienze interne: nella ricerca di forma da parte del Se’ si esprime il bisogno di superare l’angoscia di frammentazione, di contenere il dolore prodotto dalla coscienza dell’alterità come separazione, di permanenza come equilibrio tra stabilità e cambiamento. L’utilizzo dell’arte, quindi, apre la strada ad un processo di trasformazione che permette all’individuo di differenziarsi, assolvendo ad una funzione in senso evolutivo (Govoni, 2012).

LA DANZA: IL LINGUAGGIO DEL CORPO

La danza è considerata l’arte specifica del linguaggio corporeo, che risponde al bisogno di dare forma a tensioni e spinte psichiche, relazionali e spirituali, a determinazioni biologiche e culturali, cioè al generale bisogno espressivo e comunicativo dell’essere umano. Essa può essere letta come un messaggio proveniente dal mondo interiore e comunicato all’interno di uno specifico setting.

Per il Danza Movimento terapeuta qualsiasi movimento rivela una danza, ossia un’espressione che comunica dinamiche psichiche profonde e modelli primari di strutturazione della realtà; attraverso di essa il mondo interno di ciascuna persona si fa “tangibile”; gli individui, danzando insieme, mettono in comune il loro mondo simbolico personale e rendono visibili le relazioni (Govoni, 2012).

IL PROCESSO CREATIVO COME PERCORSO DI CURA: LA DMT

“Attraverso le parole si può attivare un processo di gran lunga più a rischio di quanto avviene nella creazione artistica” (Belfiore, 1998, p.40). “Non tutto può essere tradotto in parole, non tutte le esperienze possono essere tradotte in esperienza verbale diretta. A volte un gesto, un suono, un ritmo, un movimento possono essere gli unici codici di comunicazione” (Monteleone, 1998, p. 92). È perciò necessario saperli riconoscere, osservare, ascoltare e raccogliere.

Per poter intervenire in alcuni tipi di psicopatologie, è fondamentale favorire nel soggetto una discesa nel corpo, un incontro creativo con sé stesso e con la realtà esterna come necessario strumento di cura e di riparazione del Se’. In questo caso la costruzione di un setting psicoterapeutico con la Danza Movimento Terapia (DMT), attraverso gli strumenti e le metodologie che le sono propri, sembra essere particolarmente utile ed efficace (Massa, 2012).

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE (DCA)

“Le cose che ci entrano in testa, poi ci restano per sempre” (Valeria De Tommasi, 2012, p.119). Le cose che ci entrano in testa diventano il corpo che siamo e che ci portiamo appresso.

La cosa si complica nel caso dei disturbi del comportamento alimentare (DCA), che per definizione hanno a che fare con la relazione tra il corpo e la mente: anoressia, bulimia e obesità. Essi rappresentano infatti i migliori portavoce di quel “qualcosa” che è entrato nella testa e che resta lì per sempre (De Tommasi, 2012).

Pur rappresentando forme patologiche diverse, anoressia nervosa e obesità presentano almeno due elementi in comune che ci autorizzano a considerarli insieme e vederli come un’unica forma di disagio della modernità:

  • in un duplice senso essi rappresentano un disturbo dell’oralità, perché affondano le loro radici in quella prima fase di sintonizzazione in cui madre e bambino co-costruiscono una realtà fattuale, emotiva e cognitiva che rappresenta il presupposto del proprio essere-nel-mondo (De Tommasi, 2012);
  • sono disturbi legati alla percezione del proprio corpo o, se si vuole, dell’immagine corporea: stare nel proprio corpo, vivere il corpo nella sua fisicità-simbolicità (nella sua forma), sembra impossibile e perturbante (De Tommasi, 2010).

Strette da un super-Io tirannico e mai appagabile, le persone affette da anoressia nervosa scelgono l’informe di fronte al rischio che qualunque manifestazione di sé possa essere giudicata deforme. Convinte di non valere assolutamente niente, di essere la “metà di niente”, le persone affette da obesità scel­gono il deforme di fronte al rischio di percepirsi informi. Donne incorporee, dunque, e donne decorpate; una mente onnipotente e un cor­po impalpabile da una parte, un corpo iperpresente e una mente gracile dall’altra; in tutti e due i casi un sé ferito, umiliato e offeso, un Sé a cui fare ritorno, forse ancora mai nato (De Tommasi, 2010), mai formato.

Per i pazienti affetti da anoressia nervosa, bulimia e obesità, il corpo non deve palesarsi e, quando questo accade, la reazione è di panico. Ciò che si palesa in quel gesto, in quella forma, apparentemente insignificante, non è diverso dal gesto stesso. È il corpo nella sua irriducibile materialità e nella sua fragorosa simbolicità che si palesa lì, con una evidenza scomoda e tuttavia inconfutabile. È l’essere-corpo, segno tangibile del proprio essere in vita (De Tommasi, 2010). 

In un contesto di questo tipo, la DMT costituisce quell’approccio all’utilizzo dell’arte che scioglie ciò che la mente ha congelato: nel vuoto di una parola che non viene, il gesto apre la possibilità di un nuovo pensiero pronto a nutrire corpo e spirito (De Tommasi, 2012). Nei pazienti affetti da anoressia e bulimia, ma anche in quel­li affetti da obesità, emerge la stessa pulsione, disperata e te­nace, di espandersi, di esserCi, di prendere corpo e forma. La scoperta, attraverso l’esperienza del corpo-in-­movimento, del proprio desiderio di EsserCi e di Essere-nel­-mondo, di prendere forma e di abitare uno spazio-tempo (De Tommasi, 2010).

L’ANORESSIA NERVOSA

L’anoressia nervosa è un disturbo psicologico che riguarda soprattutto giovani donne, ed è caratterizzato dal rifiuto di mantenere un peso corporeo normale, dispercezione della forma del corpo e del peso, e amenorrea (APA, 2000).

L’esperienza soggettiva del corpo-vissuto sembra come risucchiata e divorata da quella del corpo-oggetto, del corpo estraniato e svuotato di intenzionalità (Cuzzolaro, Della Torre, 2017).

La sua radice patogenetica e ontologica potrebbe essere definita come un “buco dell’essere”, una mancanza del sentimento di Sé come qualcosa che fa senso “non per quello che si fa ma per quello che si è”. Monia Battarra (2012), psicologa, psicoterapeuta e danza movimento terapeuta, afferma: “Ho incontrato il vissuto di vuoto interiore lavorando con persone con disturbi del comportamento alimentare … carenza di sensazioni e di movimenti, una mancanza di connessione con il proprio corpo, un’assenza, un vuoto interiore da colmare, disorientante e terrificante, vuoto di uno spazio interno al sé, vuoto di un oggetto contenitivo cui riferirsi, vuoto di prospettive e di progettualità, vuoto di relazioni … Il vuoto interno percepito e verbalizzato dalle pazienti, si riflette esternamente in forme corporee chiuse e ristrette nel piano orizzontale, appiattite, svuotate o sgonfiate nel piano sagittale[1] che evocano sentimenti di chiusura, svuotamento, impotenza e disinteresse verso l’esterno”. Vuoto di pensieri, dunque, e vuoto di forme.

Lo spazio all’interno del Sé si sviluppa quando vengono interiorizzate le funzioni del contenere, funzioni che in principio verrebbero svolte dalla madre, la quale, contiene dentro di sé ciò che il bambino non è ancora capace di metabolizzare; tale apparato interno sembra non svilupparsi in pazienti cui è mancata l’esperienza precoce di contenimento (Battarra, 2012). Contenimento come funzione dell’essere forma capace di accogliere la forma di un altro, di dargliela e aiutarlo a prendersela, a svilupparla attraverso la possibilità di percepirsi, di formarsi, appunto.

Tutto questo produce profonde conseguenze negative nella percezione di sé come unità indissolubile di sensazioni-emozioni-percezioni-pensieri che permane nel tempo, nella differenziazione dei propri confini corporei, nell’individuazione e nella capacità di simbolizzazione ed astrazione. Il soggetto dunque sviluppa pattern disfunzionali nelle esperienze emozionali, e a causa del proprio senso di inefficacia, cerca di raggiungere un senso di orgoglio e di competenza personali mediante il controllo sul proprio corpo e sull’alimentazione (Padrao & Coimbra, 2011; De Tommasi, 2012).

La presenza di un disturbo dell’immagine corporea è un elemento essenziale per la diagnosi di anoressia nervosa, mentre un concetto realistico di immagine corporea è premessa indispensabile alla guarigione. Questa espressione, immagine corporea, si riferisce alla relazione, conscia e inconscia, che ogni individuo ha con il proprio aspetto fisico. È un costrutto mentale, un concetto multidimensionale che include elementi cognitivo-valutativi, emotivi e comportamentali intrecciati tra loro. Il disturbo dell’immagine corporea assume la forma di una preoccupazione opprimente per la propria forma fisica, tale da oscurare ogni altra caratteristica personale. Sull’immagine del corpo pesano molto i fattori ambientali, sociali e culturali … i valori estetici propri di ogni cultura che gravano sulla cerniera che lega l’immagine del corpo (la forma) al senso del proprio valore, alla stima di sé (Cuzzolaro, Della Torre, 2017).

Hoffmire (Contemporaneo – Charleston Southern Carolina USA) – Mirror – 2010

L’INTERVENTO CON LA DMT

Come in tutte le patologie, anche nell’anoressia nervosa, il sintomo, nella sua simbolicità, svela e al tempo stesso nasconde la persona (Della Torre, 2010). Il senso del sintomo infatti, nel suo essere simbolo, fenomeno elementare con cui si manifesta lo stato di malattia, svolge una funzione di rappresentazione che insieme sostituisce ed esprime il senso del suo essere. Come una forma di comunicazione sommessa, un frastuono silenzioso, una ricerca di attenzione segreta.

Il lavoro di cura ci chiede di incontrare la persona condividendo con lei un percorso di comprensione del senso del “sintomo” nella sua particolare esistenza, immersa nel proprio contesto familiare e sociale più ampio. La sfida terapeutica, anche nelle situazioni di cronicità, è riuscire a far emergere il significato psicologico e relazionale del sintomo che, se cristallizzato negli anni, tende a far smarrire il suo senso profondo, a cui è necessario accedere per riavviare un processo evolutivo (Della Torre, 2010).

 Il fatto che l’anoressia nervosa appartenga alla categoria dei disturbi psicologici definiti “disturbi dell’immagine corporea”, costringe a cogliere un’aporia di fondo nel tentativo di trattarla mediante un approccio body-oriented. Con l’utilizzo della DMT nei casi di anoressia nervosa ci si propone infatti di raggiungere la mente attraverso un corpo che quest’ultima non sopporta, che porta con sé un significato intollerabile: la propria presenza incarnata, embodied, e l’alterità del corpo. Per di più il codice del movimento è tutt’uno con il messaggio su cui grava l’interdizione. Tuttavia, sebbene una talking cure sia necessaria per individuare i nodi problematici che legano la persona alla sua malattia, esiste anche un’esperienza del corpo non dicibile a parole e che non ha a che fare con una rappresentazione (De Tommasi, 2012; Della Torre, 2010). L’impiego clinico del linguaggio corporeo ha potenzialità particolarmente interessanti proprio in forza degli isomorfismi che consentono di incontrare il paziente nel suo universo di codici simbolici, di parlare il suo stesso linguaggio (Cuzzolaro, Della Torre, 2017).

Questo tipo di trattamento mira a promuovere nei pazienti lo sviluppo di una competenza di tipo estetico (uno dei significati della parola estetico è: “rispondente al gusto e al senso della forma”), cioè la capacità di acquisire nuovi significati personali attraverso l’arte, nello specifico mediante i sistemi simbolici della danza e del movimento. Esso si caratterizza per la sua specifica finalità di riorganizzazione dell’immagine corporea (De Tommasi, 2012; Della Torre, 2010), restituendola alla sfera della corporeità e valorizzandone la dimensione “embodied” (Cuzzolaro, Della Torre, 2017).

In conclusione, nel lavoro con la danzaterapia è possibile offrire alle persone il luogo ed il tempo necessari per dare forma ad un mondo interiore a cui non si riesce a dare ascolto, avviare un contatto con sensazioni, emozioni e pensieri nel qui ed ora dell’esperienza, interrompendo il proprio ossessivo monologo distorto su un corpo idealizzato. Uno spazio per il “corpo-vivente”, occasione di ricerca dell’autenticità nell’espressione di sé per consentire ad un “corpo-oggetto di attenzioni” di diventare “corpo soggetto di intenzioni” (Cuzzolaro, Della Torre, 2017), corpo-vissuto, per ridare una forma dinamica al proprio essere-nel-mondo.


BIBLIOGRAFIA

Battarra, M. (13/11/2012). Vissuti di vuoto nei disturbi alimentari e danza movimento terapia ad orientamento psicodinamico, MoviMenti studio psicologia psicoterapia

Belfiore, M. (1998). Attraverso la colpa, note sull’esperienza artistica in terapia. In M. Belfiore e L. M. Colli (a cura di), Tra il corpo e l’Io: L’arte e la Danza-Movimento Terapia ad orientamento psicodinamico. Quaderni di Art Theraphy Italiana (pp. 39-43). Bologna: Pitagora Editrice Bologna

Bion, W. (1988). Apprendere dall’esperienza. Armando

Bolwby, J. (1969). Attaccamento alla madre. Attaccamento e perdita. Torino: Bollati Boringhieri

Brazelton T.B., e Cramer, B.G. (1990). Il primo legame. Milano: Frassinelli

Cuzzolaro, M., e Della Torre, N. (13/06/2017). Immagine del corpo e alimentazione. La specificità della danzamovimentoterapia nel trattamento dei disturbi alimentari. APID

Della Torre, N. (26-28/03/2010). Il mio corpo mi ha portato qui … e adesso ha paura di cambiare”. La DanzaTerapia nel trattamento multidisciplinare residenziale dei Disturbi Alimentari. In Psycomedia Psycho-Conferences – Danzamovimentoterapia e corpo contemporaneo, Convegno Nazionale APID, Roma

De Tommasi, V. (2010). Anoressia, bulimia, obesità e danza-movimento terapia. Modelli per fa mente, anno III (1/2), p. 29-33.

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Govoni, R. M. (2012). Lasciar parlare il corpo. In A. Di Quirico (a cura di), Lasciar parlare il corpo: Linguaggi e percorsi clinici della Danza Movimento Terapia (pp. 23-55). Roma: Edizioni Magi

Massa, M. (2012). La discesa nel corpo. In A. Di Quirico (a cura di), Lasciar parlare il corpo: Linguaggi e percorsi clinici della Danza Movimento Terapia (pp. 57-75). Roma: Edizioni Magi

Monteleone, A. (1998). Danza-movimento terapia. In Belfiore e Colli (a cura di), Tra il corpo e l’Io: L’arte e la Danza Movimento Terapia ad orientamento psicodinamico. Quaderni di Art Theraphy Italiana (pp. 89-94). Bologna: Pitagora Editrice Bologna

Padrao, M.J., e Coimbra, J.L. (2011). The Anorectic Dance: Toward a new Understanding of Inner-Experience Through Psychotherapeutic Movement. American Dance Therapy Association

Reich, W. (1983). Character analysis. New York: Farrar, Straus, & Giraud

Stolorow, R. D., e Atwood, G. E. (1992). I contesti dell’essere: Le basi intersoggettive della vita psichica. Torino: Bollati Boringhieri

Tronick, E. (2008). Regolazione emotiva: Nello sviluppo e nel processo terapautico. Milano: Cortina

Weiner, H. (1974). Toward a body therapy. The Psychoanalytic Rewiev. 61 (1), pp. 45-52


NOTE

[1] ristrette, svuotate, sgonfiate sono termini utilizzati nel Profilo di Movimento Kestenberg per descrivere cambiamenti della forma del corpo

 

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