cARTeggi – n. 3 – Maggio 2021

EDITORIALE

IMMAGINAZIONE: CHIUDERE GLI OCCHI PER VEDERE
Giada Bolognesi, storica dell’arte, educatore professionale, arteterapeuta clinica

Renè Magritte, L’ami de l’ordre, 1964

Quando sei qui con me questa stanza non ha più pareti, ma alberi, alberi infiniti…”

Così cantava Gino Paoli ne Il cielo in una stanza, un testo le cui parole paiono quanto mai poeticamente azzeccate. Potersi concedere l’esperienza di uno spazio sconfinato nella dimensione di chiusura, determinata dalle restrizioni per l’attuale emergenza sanitaria, sembra del tutto impossibile. Eppure, quel “cielo in una stanza” rappresenta un’opportunità quanto mai afferrabile da ogni essere umano che decida di guardare il mondo attraverso la lente dell’IMMAGINAZIONE.

Parlare di immaginazione significa aprire le porte ad una facoltà preziosa nell’esistenza di ogni uomo, che erroneamente si tende a relegare al solo mondo infantile. Viene definita genericamente come “facoltà di formare immagini mentali, trasformarle, svilupparle… forma di pensiero, che non segue regole fisse, né legami logici, ma si presenta come riproduzione ed elaborazione libera del contenuto di un’esperienza sensoriale ed emozionale”[1]. L’immaginazione dà vita ad un’attività di tipo sognante o a creazioni armoniose, è un mezzo di comunicazione che, quando si trasforma in oggetto reale, come nell’opera d’arte, favorisce l’incontro degli uomini.

Paul Klee, Ad Parnassum, 1932

Scrigno in cui sono racchiuse meraviglie, contenitore di bellezze scolpite nell’assenza di materia, l’immaginazione costituisce per l’uomo una possibile via d’accesso alla trascendenza. L’antropologo Christoph Wulf sostiene che all’origine del pensiero umano e dello sviluppo del cervello vi sia proprio la nascita e l’affermazione dell’immaginazione, da lui definita come un’energia che fa apparire il mondo agli esseri umani. L’immaginazione per lo studioso ha infatti assolto al ruolo indispensabile di passaggio intermedio tra percezioni ineffabili e pensiero logico-discorsivo, in modo che il nuovo potesse essere comunicato, e che in tal modo l’uomo potesse creare[2].

Maurits Cornelis Escher, Relatività, 1953

Si tratta dunque di quella capacità di trasformare l’esistente, di deformare e quindi trascendere l’ovvietà del dato, scardinando la sua struttura, le regole precostituite che lo governano e il suo ordinamento immanente. L’immaginazione è quel luogo privilegiato in cui ciascuno sperimenta il più alto e autentico grado di libertà che si possa realizzare: permette all’individuo di “valicare” ostacoli, per raggiungere uno squarcio di infinito. Rappresenta la possibilità di superare quella “siepe… che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”[3], come mirabilmente recitano i versi di Leopardi poiché l’animo umano brama “una veduta ristretta […] perché allora in luogo della vista lavora l’immaginazione, e il fantastico sottentra al reale”[4].

L’immaginazione consente di mobilitare l’intera soggettività, animandola e vivificandola, nel senso che attiva tutte le nostre capacità conoscitive e simboliche, potenziandole, intensificandone l’azione e mettendole produttivamente in contrasto tra loro. Baudelaire, celebrando l’immaginazione, affermava: “Essa è concretamente congiunta con l’infinito. […] Facoltà misteriosa, questa regina delle facoltà! Essa coinvolge tutte le altre; le eccita, le spinge alla lotta. […] L’immaginazione invero ha appreso all’uomo il senso morale del colore, del contorno, del suono e del profumo. […] Essa scompone tutta la creazione, e, con i materiali raccolti e disposti secondo regole di cui non si può trovare l’origine se non nel più profondo dell’anima, crea un mondo nuovo”[5].

Vasilij Kandinskij, Il cavaliere (San Giorgio), 1914-15

Herbert Marcuse gridava “potere all’immaginazione” come antidoto per opporsi alla società repressiva del suo tempo. Esaltandone le capacità creative il filosofo la descrive infatti come un ponte tra ragione e sensibilità che consente di elaborare nuove modalità per la soddisfazione integrale dei bisogni umani, nonché di tradurre i valori in realtà[6].

L’immaginazione può essere utilizzata come strumento di conoscenza, mezzo per la comunicazione con l’anima del mondo e al contempo essere considerata un repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato, né forse sarà, ma che avrebbe potuto essere[7].

Concedersi l’esperienza dell’immaginazione è aprirsi dunque alla realtà compiendo una scelta, come spiega Gianni Rodari: “Il mondo si può guardare ad altezza d’uomo, ma anche dall’alto di una nuvola…. Nella realtà si può entrare dalla porta principale o infilarvisi – è più divertente – da un finestrino”[8].

Marc Chagall, Sulla città, 1918

Questo inno all’immaginazione è pensato dunque come il preambolo per introdurre il nuovo numero di cARTeggi. I contributi presenti affrontano tematiche fra loro diverse, ma il fervore del potere immaginativo come fondamento del processo creativo diviene un file rouge che accomuna le esperienze narrate.

Valentina Vittani e Federica Natalini ci presentano l’arte di Frida Khalo, cura riparativa del trauma, campo fertile per trasformare dolore e sofferenza in altro. Laura Pezzenati delinea i principi metodologici della Danzaterapia clinica: una pratica di continua connessione e ri-connessione al proprio corpo-cuore-mente, e alle proprie memorie procedurali attraverso la proposta di “stimoli immaginativi” che consentano l’espressione creativa di sé. Elena Moscardini illustra la strada aperta a nuovi studi su disturbi dello spettro autistico a seguito della scoperta dei Neuroni specchio e della loro connessione con i fenomeni dell’empatia e dell’espressione artistica. Susan Vettori narra l’esperienza della danzaterapia nel trattamento del disturbo anoressico, un’occasione di ricerca dell’autenticità nell’espressione di sé, per consentire ad un “corpo-oggetto di attenzioni” di diventare “corpo soggetto di intenzioni”. Alice Riccardi illustra le potenzialità insite nella metodologia dell’Arteterapia per la riabilitazione nell’ambito dei disturbi dello Spettro autistico e come offerta di uno spazio di espressione, di comunicazione e di interazione potenziale. Deborah Nogaretti ci racconta l’intenso percorso arteterapico con il Signor Giovanni, per comprendere il concetto di “terza mano” come mezzo per costruire un campo intersoggettivo relazionale in grado di favorire la comunicazione e l’espressione laddove non sembravano possibili.

Cueva de las Manos, arte rupestre 13000-9500 anni fa


Nell’augurarvi una buona lettura, ricordiamo che la Rassegna Editoriale cARTeggi è semestrale e viene pubblicata nei mesi di maggio e novembre. Il numero 4 verrà pubblicato a metà novembre 2021: attendiamo i vostri prossimi contributi entro il 30 settembre 2021 alla mail carteggi@lyceum.it. Per tutte le norme riguardanti la stesura, si rimanda alla HOME di cARTeggi.


NOTE

[1] Treccani Enciclopedia

[2] C. Wulf, Homo Pictor: L’immaginazione e la costruzione dell’uomo, Fondazione Collegio San Carlo di Modena per festivalfilosofia, 2007

[3] G. Leopardi, L’infinito, 1825

[4] G. Leopardi, Lo Zibaldone, 1820

[5] C. Baudelaire, Scritti sull’arte, Einaudi,1992, p. 223-224, 227

[6] H. Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi, Torino, 2017

[7] I. Calvino, Lezioni Americane: sei proposte per l’ultimo millennio, Garzanti 1988

[8] G. Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi, 1973, p. 76

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