Da diciassette anni lavoro in qualità di educatrice e arteterapeuta presso centri diurni che accolgono persone adulte con disabilità intellettive di media gravità, con un’età compresa tra i 18 e i 65 anni. Vista la mia lunga esperienza con questa tipologia di utenza vorrei proporre una riflessione sulla valenza, sulla qualità, sui limiti e sulle finalità di un percorso arteterapeutico a lei indirizzato.
Tra gli interventi di tipo psicologico e riabilitativo maggiormente utilizzati con soggetti con disabilità intellettive, in opposizione a una mentalità meramente assistenziale, l’Arteterapia può configurarsi come una metodologia non verbale di prevenzione, cura e sostegno, piacevole e gratificante, efficace nel far emergere stati emotivi e vissuti personali anche in situazioni cognitivamente compromesse.
Per Edith Kramer la terapia d’arte risulta fondamentale nel lavoro con persone adulte che rischino l’esclusione sociale (Kramer, 1977, p.244).
In questi casi, secondo Vera Zilzer e Attilia Cossio:
“L’arte-terapia non ambisce portare a cambiamenti profondi della persona, si delinea invece come metodo utile per rianimare situazioni psicologiche irrigidite […]. In grande misura può rasserenare, in qualche caso è unico ed essenziale veicolo di comunicazione e terapia” (2003, p.25).
Gli ospiti dei servizi presso cui lavoro frequentano da diversi anni il laboratorio di Arteterapia con una cadenza quindicinale, suddivisi in gruppi di sei persone; l’attività svolta all’interno di un piccolo gruppo favorisce la comunicazione, l’interazione e la condivisione. Tutto ciò sollecitando negli utenti abilità quali: la manualità fino-motoria, l’attenzione, la concentrazione, la memoria, la creatività e la socializzazione. Secondo Enrico Nardi:
“Ritrovarsi in un ambiente dove, sia per il numero limitato, sia per le caratteristiche del metodo, si è stimati, considerati ciascuno nella propria individualità, nei propri problemi, questo è sempre medicina efficacissima che oltrepassa il fisico e arriva all’anima” (Nardi, 2003, p.16).
L’Arteterapia, una metodologia molto flessibile, può essere utilizzata, come afferma Diane Waller, con persone i cui bisogni emotivi vengono spesso sottovalutati. Di fatto i soggetti portatori di disabilità cognitive difficilmente hanno la possibilità di esprimere i propri sentimenti ed emozioni, soprattutto per quanto riguarda la rabbia e la frustrazione, nell’ambito di progetti educativi che enfatizzano la conformità a rigidi modelli di comportamento sociale (Waller, 1995, p.32-33).
Il processo creativo e gli elaborati prodotti possono diventare un mezzo indispensabile per iniziare a stabilire un contatto con la persona disabile intellettiva e con il suo mondo interno; inoltre, fornendo indicazioni sugli aspetti psicopatologici della persona, possono orientare l’intervento arteterapeutico ed educativo. Naturalmente i procedimenti e le tecniche vanno semplificati e adattati a seconda della gravità dei casi.
Ciò che è considerato terapeutico nell’Arteterapia rivolta a soggetti adulti con disabilità intellettive è soprattutto il rafforzamento del Sé e la valorizzazione delle singole individualità. Attraverso il potenziamento delle risorse e della libertà creativa di ogni persona l’arteterapeuta lavora sull’attenuazione delle rigidità rituali e sull’aumento dei livelli di autonomia, di autodeterminazione e di intenzionalità.
Nell’intervento arteterapeutico con persone con disabilità cognitive, le quali presentano frequentemente una scarsa considerazione di sé e una bassa autostima, è importante fornire incoraggiamento e un attento sostegno esecutivo dato che la soddisfazione per la propria creazione può assumere in questi casi una grande rilevanza. E’ fondamentale, a questo riguardo, riservare al termine di ogni incontro di Arteterapia uno spazio affinché ogni partecipante possa mostrare al gruppo il proprio manufatto finito; spesso le persone disabili sono sorprese dalla qualità delle opere che loro stesse e il gruppo hanno realizzato, divenendo nel tempo più libere sia nel proprio fare artistico che nell’interazione con gli altri partecipanti. Durante il momento conclusivo di verbalizzazione condivisa, con un passaggio dal non verbale al verbale, dalle emozioni alla cognizione, vista la difficoltà delle persone con disabilità intellettive a elaborare pensieri astratti, l’arteterapeuta può sostenere ogni partecipante che abbia voglia di esprimersi tramite le parole invitandolo a utilizzare libere associazioni o attribuendo anche solo un titolo al proprio manufatto. Ogni persona, citando Wilma Cipriani, ha la possibilità di ritrovarsi e di identificarsi nel proprio elaborato artistico potendo dire “Io ho fatto questo”; anche se tale riconoscimento avviene a livello inconscio, questo passaggio rinforza il Sé, l’autopercezione e il proprio senso d’identità, determinando nel tempo una crescita dell’autostima (Cipriani, 1998, p.79).
Un lavoro arteterapeutico con persone disabili intellettive punta, quindi, ad attivare la possibilità di potersi percepire come individui capaci di fare e di esprimere se stessi. Se all’inizio di un percorso possono emergere nei partecipanti il timore del confronto, della valutazione del proprio agire e la paura di sbagliare, nel tempo le persone sperimentano all’interno del gruppo di lavoro un approccio accogliente esente da giudizi.
Durante i laboratori è importante che l’arteterapeuta mantenga un’apertura nella relazione con i singoli soggetti per coglierne aspetti non percepiti in precedenza e le diverse modalità di essere nel momento presente, nel qui e ora. Grande attenzione deve essere rivolta al processo artistico poiché è l’atto di produrre un’impronta creativa e simbolica a rendere terapeutico il percorso verso l’integrazione tra il mondo interno e il mondo esterno, tra il proprio sentire emotivo e la capacità di esprimersi tramite i materiali artistici.
Stimoli nuovi proposti dall’arteterapeuta possono ridurre, almeno temporaneamente, la riproduzione ripetitiva di simboli codificati, spesso appresi e assimilati nell’infanzia durante la formazione scolastica. Per Wilma Cipriani:
“Tuttavia, pur nella compulsione ossessiva che promuove la ripetitività meccanica, l’arte-terapeuta riscontra, come al microscopio, dei minuti cambiamenti rivelatori di risorse ancora utilizzabili e capaci di produrre movimento e comunicazione nel paziente” (Cipriani, 1998, p.84).
Riattivare la creatività nelle persone con disabilità intellettive significa valorizzare la loro personalità, spesso messa in ombra nel corso della loro esistenza da una pretesa normalizzazione educativa o attraverso la deprivazione della possibilità di autonomia, le quali possono aver determinato la strutturazione di quello che Winnicott chiama un falso Sé (Winnicott, 1999, p.43).
Quando l’arte è espressione di un Io debole e di un falso Sé viene a mancare di vitalità e significato e diventa convenzionale, manifestazione di impotenza e di vuoto. È importante, allora, lavorare introducendo tecniche, materiali e temi nuovi o altri stimoli inediti (prodotti filmici, fotografie, insoliti elementi grafici) per smuovere le situazioni di stallo. McNeilly facendo riferimento ad alcuni gruppi particolari, come quelli in cui i soggetti sono portatori di disabilità cognitive, li ritiene bisognosi di un alto livello di strutturazione richiedendo una conduzione maggiormente direttiva e didattica da parte dell’arteterapeuta, poiché la mancanza di stimoli può favorire l’insorgere di sentimenti di insicurezza nei partecipanti (McNeilly, 1987, p.9).
Secondo Edith Kramer il comportamento stereotipato originato da un ritardo mentale o da lesioni cerebrali può rappresentare una difesa contro la confusione e un sentimento d’impotenza, non collegandosi necessariamente a un conflitto interiore. La stessa autrice ricorda che uno dei requisiti fondamentali per diventare terapista d’arte risiede nella capacità di tollerare quella che lei chiama la non-arte, la quasi-arte, l’anti-arte. Ma se in alcune fasi, soprattutto all’inizio di un percorso arteterapeutico, per proteggere un equilibrio precario della persona il conduttore è necessariamente obbligato ad accettare lo status quo, per la Kramer deve anche saper proporre stimoli maturanti, non rinunciando mai a favorire il processo di sublimazione (Kramer, 1977, pp.103, 163 e 164).
Pur rispettando i tempi di ogni persona e i suoi meccanismi di difesa, è opportuno offrire delle sollecitazioni ai partecipanti, in base alle loro potenzialità e bisogni, per sostenere un’espressione creativa più autentica e spontanea. L’Arteterapia, lavorando sulle parti sane della persona, può riattivare la capacità di provare piacere e le potenzialità espressive rimaste nascoste, avviando un processo di integrazione del Sé e di rafforzamento dell’identità. Per Edith Kramer una sublimazione raggiunta tramite la realizzazione di un lavoro simbolicamente compiuto e formalmente strutturato può accrescere la forza dell’Io (Kramer, 1977, p.78).
Quello che conta è credere che ogni individuo, anche nella situazione più compromessa, tramite le tecniche e i materiali artistici più appropriati possa riuscire a comunicare qualcosa di sé al mondo, all’interno di un approccio basato sul rispetto dell’unicità di ogni persona, della complessità di ogni individuo e della sua storia, dei suoi gusti e del suo stile personale.
Promuovere esperienze piacevoli, stimolanti e gratificanti può determinare in un soggetto la rimessa in gioco di un coraggio esplorativo riguardo alle proprie capacità precedentemente negate, aiutandolo a superare il senso di inadeguatezza e puntando a un miglioramento del suo benessere psicofisico. Come sostiene Stefania Guerra Lisi per far muovere bisogna prima commuovere attraverso una relazione affettiva che permetta di condividere la fatica, la paura e l’ansia, ma anche la fiducia e la capacità di assumere decisioni. Significa ritrovare se stessi attraverso la relazione con l’altro, commuoversi insieme per ogni passo avanti, per ogni piccola apertura al mondo, per ogni affermazione di sé. Se ogni tappa è conquistata con fatica, il superamento dei limiti rinnova ogni volta il piacere del compiacimento di sé così essenziale per ogni persona, la quale percepisce di essere percepibile (Guerra Lisi, 2003, pp.150-151).
Sostenendo la messa in gioco individuale, riattivando risorse e potenzialità, si accompagna il percorso di ogni singolo soggetto, rispettandone i tempi e le necessità. Secondo la Kramer l’arteterapeuta viene a configurarsi come un alleato dell’esperienza e del percorso creativo di ogni persona prestandole assistenza tecnica e appoggio emotivo; un Io ausiliario che lavora a sostegno dell’Io di ogni partecipante (Kramer, 1977, pp.38 e 10). L’etimologia del termine arte sembra derivi dalla radice ariana ar che in sanscrito significa “andare, mettersi in moto, muoversi verso qualcosa”, e in senso traslato “fare, produrre”. Il termine terapia, nel suo significato etimologico di sostegno, deriva dalla parola greca therapeia, traducibile in “prendersi cura, assistere, essere al servizio di qualcuno”, la quale proviene a sua volta dalla radice ther che significa “tenere, sostenere”. L’arteterapeuta, allora, è colui che assiste, sostiene e accompagna la persona durante tutto il processo della messa in movimento del fare e della produzione artistica.
Tuttavia, nel tempo, secondo Salvatore Soresi:
“Attenuare l’aiuto ed evitare di fornirlo se non proprio necessario e richiesto potrebbe essere considerato un buon indicatore di professionalità, da un lato, e di riconoscimento e rispetto delle abilità della persona, nonché di fiducia nei confronti delle sue potenzialità […]” (Soresi, 1998, pp.34-35).
L’Arteterapia contribuisce, dunque, al benessere della persona disabile cognitiva, permettendo a corpo e mente di mantenere un equilibrio, sanando, almeno in parte, le ferite emotive che si sono aperte in lei vivendo e facendola sentire protagonista all’interno del gruppo di lavoro. Si tratta di cambiamenti che raramente corrispondono a una reale presa di coscienza, spesso impossibile nei soggetti con disabilità intellettive.
Nel 1948 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel preambolo dell’Atto costitutivo, definì la salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale.
“Successivamente, nella Carta di Ottawa (1986), puntualizzò che lo stato di salute si consegue nel momento in cui gli individui sviluppano e impegnano al meglio le proprie risorse in modo da realizzare le proprie aspirazioni e soddisfare i propri bisogni, modificando anche l’ambiente ai fini di un positivo adattamento” (Viola, 2015, p.181).
L’Arteterapia lavora per il benessere delle persone disabili cognitive puntando anche a migliorare il loro grado di alessitimia. Come spiegano De Felice e Pascucci:
“Per alessitimia [si intende], letteralmente, mancanza di parole per le emozioni […], ovvero l’incapacità di percepire, comprendere ed esternare verbalmente i propri e altrui stati emotivi. In modo particolare […] l’emozione […] viene vissuta per via somatica e non interpretata cognitivamente” (De Felice, Pascucci, 2007, p.91).
Non riuscire a comprendere e a gestire le proprie emozioni, come spesso accade ai soggetti con disabilità intellettive, può creare diversi problemi rispetto al loro stato di benessere generale e alle loro relazioni interpersonali, portando l’individuo ad agire in modo impulsivo o a essere soggetto a forti stati d’ansia o di rabbia. L’elaborato artistico prodotto in ambito arteterapeutico, inteso come un atto comunicativo non-verbale, risulta allora estremamente importante per l’espressione e la comprensione di chi non può o non vuole parlare, di chi non riesce a esprimere verbalmente i propri bisogni, desideri, emozioni, preferenze. Secondo Patrizia Fergnani:
“Esprimersi è una capacità che tende all’armonia, coinvolgendo corpo e mente. […] Dal punto di vista etimologico esprimersi significa portare alla luce quello che si ha dentro: risorse, sentimenti, attitudini, (dal latino exprimo, cavar fuori, spremere in senso proprio e figurato con più accezioni: con le parole, con il comportamento e con i gesti, oppure dando forma a qualcosa con materiali e strumenti diversi)” (Fergnani, 2013, p.111).
L’espressione tramite i materiali artistici, lo sperimentarsi in diverse abilità e il sostegno non valutativo dell’arteterapeuta e del gruppo possono aiutare le persone ad attenuare la loro alessitimia. L’utilizzo dell’Arteterapia implica la fede nelle risorse comunicative latenti in attesa di risveglio espressivo anche in contesti di disabilità intellettiva adulta; essenziale è la fiducia del conduttore nelle possibilità evolutive delle persone, un atteggiamento fondamentale per sostenerne la motivazione e l’accesso all’atto creativo. L’Arteterapia, dunque, mettendo al centro del suo operare la dignità della persona e aiutandola ad avere fiducia nei propri mezzi e risorse, è in grado di aprire nuove porte a coloro ai quali la società di porte ne ha già chiuse molte.
BIBLIOGRAFIA
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De Felice F., Pascucci A., Cinema e psicopatologia. Aspetti psicologici della rappresentazione cinematografica e potenzialità applicative in psicologia clinica, Aracne Editrice, Roma, 2007
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Nardi E., L’OAMI nazionale e il suo impegno nell’assistenza e nell’handicap, in Curti P. G., Guerra Lisi S. (a cura di), Il viaggio dell’eroe. Globalità dei linguaggi e integrazione dell’handicap, Edizioni ETS, Pisa, 2003
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Zilzer V., Cossio A., L’ombrello a colori. Metodi, casi ed esperienze di arte-terapia, Franco Angeli, Milano, 2003
Waller D., L’uso dell’Arteterapia nei gruppi, Fondazione Centro Italiano di Solidarietà di Roma, Roma, 1995
Winnicott D. W., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1999
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