Ogni attimo della vita umana è il frutto di una scelta: sono le nostre memorie a guidarci nel processo decisionale. Approfondiremo il caso di un musicista e l’emergenza sanitaria dell’Alzheimer in relazione al potere curativo della Danzaterapia clinica che consente di attivare l’interazione tra cuore e cervello, promuovendo la capacità di discernimento dell’individuo.
Il termine “decidere” deriva dal latino “de” e “caedere”, che significa “tagliare via”. In questo senso dovremmo intendere le nostre decisioni come un continuo processo di esclusione, per cui fare una scelta significherebbe inevitabilmente restare in uno schema caratterizzato dal principio di non contraddizione, dove le possibilità sono infinite, ma noi siamo costretti a sceglierne una, eliminando tutte le altre. Da questo punto di vista l’azione del decidere risulta estremamente complessa e richiede una rinuncia continua che provoca inquietudine e impazienza. Se il mazzo di fiori delle nostre possibilità deve subire costantemente un taglio ed essere mutilato, la nostra vita si frammenta tragicamente e ogni singola decisione porta con sé dolore e sofferenza. Il primo passo verso una maggiore consapevolezza del proprio potere decisionale è smettere di applicare la tecnica della potatura e imparare semplicemente a sfilare delicatamente dal mazzo di fiori quello che ci attrae di più in un determinato periodo della nostra vita. Solo in questo senso, la decisione non apre una ferita, ma una strada a volte in pianura e a volte in salita verso il raggiungimento di un obiettivo. Decidere, dunque, significa cogliere opportunità nuove e stimolanti per sè durante il processo di cambiamento e di crescita personale. Il taglio della decisione non recide tutte le alternative alla scelta che abbiamo compiuto, ma semplicemente avviene nel tempo e porta un segno, un battito, un ritmo nella melodia della nostra vita. La decisione separa un prima da un dopo e scandisce il tempo della nostra esistenza, ma soprattutto prende forma in un tempo consapevolmente interpretato, il cosiddetto Kairos, quando la persona non si lascia trasportare dal vento della vita, ma pone attenzione e sensibilità nelle vicende che la circondano e agisce in modo responsabile. In questo processo decisionale, la memoria ha un ruolo fondamentale ed è una delle risorse più importanti che possediamo perchè ci rende attori e protagonisti della nostra storia.
Nel 1993 Andrew Armour, ricercatore e neurocardiologo dell’Università di Montreal in Canada, ha dimostrato che il cuore ha un sistema nervoso composto da un gruppo di circa 40.000 neuroni, detti “neuroni sensoriali”, che inviano segnali al cervello e condizionano la nostra salute e le nostre esperienze emotive. Il “cuore cerebrale” ha una propria memoria ed è in grado di generare il campo energetico più ampio e potente di tutti quelli creati da qualsiasi altro organo del corpo, compreso il cervello situato nel cranio (Lacroix, 2022). Questa incredibile scoperta ci pone di fronte a due sfumature della memoria: una interna, istintiva e corporea, situata nel cuore e associata alla nostra spiritualità e moralità; una esterna, che ha luogo nel cervello, ma ha a che fare con numeri, lettere, immagini e simboli che ci offrono gli strumenti adeguati a stare nel mondo e condividerlo con l’altro. Le aree coinvolte sono: l’ippocampo, ovvero la struttura che si occupa dell’acquisizione e consolidamento di nuovi ricordi; l’amigdala, che attribuisce un’etichetta positiva o negativa alle esperienze vissute, in base alle emozioni sentite dal soggetto; i lobi frontali, essenziali per recuperare le nozioni acquisite e ricercare la fonte, la traccia, i tempi e l’ordine degli eventi. Queste due sfumature della memoria si intrecciano e si influenzano a vicenda nel corso della nostra vita, indicandoci di volta in volta, la strada che abbiamo percorso, quella che stiamo percorrendo e quella che in futuro desideriamo attraversare, portandoci a riflettere sul nostro progetto di vita.
La pratica terapeutica della danzaterapia clinica consente di far emergere i vissuti contenuti sia nella memoria del cuore, sia nella memoria del cervello, dando la possibilità a ognuno di noi di comprendere i propri limiti e le proprie risorse, utili a prendere decisioni in tutte le fasi della nostra vita. Attraverso la musica, gli oggetti-stimolo e le parole-madri tipiche della proposta danzaterapeutica, noi possiamo sperimentare le varie qualità di movimento ed entrare in contatto con la nostra capacità di lasciarci attraversare dal tempo o, al contrario, di radicarci al terreno e decidere la direzione in cui vogliamo spostarci, i movimenti che vogliamo fare nello spazio, ascoltare il nostro ritmo interno e sintonizzarci sul ritmo dell’altro, del gruppo e proposto dalla musica. La danzaterapia clinica abbraccia tutti i sistemi della persona umana e lavora con gli elementi che trova a disposizione, a seconda dell’età e della situazione psico-fisica in cui l’individuo è in quel momento. Pertanto, in casi dove una di queste due memorie viene a mancare o sia deficitaria, anche l’autonomia decisionale ne risente. La danzaterapia clinica qui ha il compito di intervenire sulle parti ancora integre del malato al fine di ridare più autonomia possibile alla persona coinvolta, presentandosi come un importante strumento di osservazione e d’indagine per far riaffiorare i ricordi dalla memoria che ancora non è stata intaccata dalla malattia.
Proviamo a entrare concretamente nell’esperienza di un violoncellista che subisce un incidente poco dopo un concerto e, colpito da una grave amnesia, non ricorda più nulla della sua vita. Perde la sua rete sociale e non riconosce più i volti dei suoi familiari e amici. Nonostante la devastante infiammazione che porta via con sé ogni parte della sua esistenza, l’uomo è ancora capace di suonare il suo strumento musicale; non è solo in grado di ricordare pezzi già suonati in precedenza, ma addirittura riesce ad impararne di nuovi. Questo caso particolare, descritto su Current Biology, dimostra che la memoria musicale è almeno parzialmente separata se non indipendente dalle strutture del cervello. Sembra proprio che dentro di noi ci siano ancora delle memorie di cui non siamo a conoscenza nel dettaglio e, tra queste, sicuramente c’è quella che ho denominato “memoria
del cuore” (Finke, 2012).
La danzaterapia clinica può farci entrare in contatto con queste memorie e dare un supporto alla persona, laddove la cura farmacologica non è disponibile. Nel caso emblematico della malattia di Alzheimer, conosciuta come la causa più comune di demenza dei Paesi occidentali, la progressiva perdita della memoria è il sintomo cardine che colpisce circa il 5% dei soggetti di età superiore ai 65 anni. La sua manifestazione è graduale e insidiosa e, ultimamente, sta diventando una delle emergenze sanitarie più diffuse nel mondo. Le anomalie che si presentano a livello del sistema nervoso centrale sono numerose: la riduzione di peso e volume dell’organo; la formazione di scissure a livello della corteccia; la dilatazione delle cavità ventricolari, i depositi di beta-amiloide, una proteina insolubile e anomala, la quale dovrebbe essere rimossa e metabolizzata, invece si accumula nei pressi delle connessioni neuronali e infine gli alti livelli di Tau, altra proteina tossica e anomala, presente negli intrecci neurofibrillari (Benini, 2018). Non ci sono farmaci, al momento, in grado di fermare il decorso della malattia o guarirlo, ma è possibile solo rallentare il processo degenerativo e accompagnare il malato in tale percorso al fine di migliorarne la qualità di vita. Le terapie che vengono utilizzate, farmacologiche e non, sono dette “sintomatiche”, poiché appunto si tratta di provvedimenti terapeutici che mirano a sopprimere o alleviare i sintomi dello stato psico-fisico del malato.
I farmaci che vengono somministrati durante il declino lieve-moderato sono la memantina e gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge il neurotrasmettitore acetilcolina, responsabile dello scambio di messaggi tra neuroni. Recentemente, negli Usa, la Food and Drugs Administration (FDA) ha approvato un nuovo farmaco contro l’Alzheimer, sviluppato da una delle multinazionali americane più attive nel settore farmaceutico e delle biotecnologie, Biogen, situata in Massachusetts: si tratta di Aducanumab, nome commerciale Aduhelm, un anticorpo monoclonale che agisce sugli aggregati di beta-amiloide. Questa terapia, sperimentata e autorizzata solo per la fase iniziale della malattia, si avvale di un’iniezione al mese per via endovenosa e il costo è fissato in 56 mila dollari annui per paziente. Gli effetti collaterali sono molti e rischiosi, quali edema celebrale temporaneo, associato o meno a emorragie, mal di testa, vertigini, nausea e reazioni di ipersensibilità. I test cognitivi risultano apparentemente positivi,
tuttavia non si accompagnano ad un miglioramento clinico.
Il terribile decorso patologico è un vero e proprio attacco al cervello della persona e alla sua memoria cognitiva e dichiarativa, così potente da farle perdere la capacità di discernimento indispensabile per il processo decisionale. Giuridicamente, il malato deve affidarsi a un tutore, una persona di fiducia che possa prendere le decisioni al suo posto. La sua libertà sembra assottigliarsi sempre di più, senza una via di uscita, ma fortunamente restano intatti i ricordi più intimi e profondi propri della memoria del cuore ed è su quest’ultima che si possono ottenere le informazioni necessarie per tentare di prendere le decisioni più adeguate rispetto ai desideri del paziente, garantendogli un benessere più soddisfacente. Il malato, infatti, è ancora capace di ricordare, nel senso proprio dell’etimologia latina cor-cordis che fa intendere una connessione con il cuore e ci rimanda ancora una volta alla memoria del cuore. Al contrario, è inutile e mortificante correggere gli errori che compie la memoria del cervello poichè è danneggiata dalla malattia. Se vogliamo, dunque, veramente migliorare la qualità di questi pazienti dobbiamo percorrere la via che ci indica il cuore (Recanatini, 2019), motore delle nostre emozioni, e saranno la sintonizzazione emotiva, l’empatia, l’ascolto, l’affetto, la vicinanza e la relazione a sostenere il nostro lavoro in qualità di professionisti dell’aiuto.
Bibliografia
Benini, A. (2009), La mente fragile. L’enigma dell’Alzheimer, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2018.
Finke, C. Preservation of musical memory in an amnesic professional cellist, Current Biology, Vol.22, Issue 15, 7 agosto 2012, pages R591 – R592.
Lacroix, G. (2020), Il cuore ti parla. Parla al tuo cuore. La coerenza cardiaca emotiva può trasformare le informazioni che vanno dal cuore al cervello, Edizioni Il punto d’incontro, Vicenza, 2022.
Recanatini, S. (2014), Io sono l’Alzheimer. Guida pratica per conoscere e affrontare la malattia, Feltrinelli Editore, Milano, 2019.
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