SOMMARIO
cARTeggi – n. 8 – Settembre 2024

EDITORIALE

ORIGINI
di Sara Ornaghi, Psicologa-Psicoterapeuta, Arteterapeuta clinica

Questo numero di cARTeggi ci riporta alla memoria di una delle pioniere dell’arteterapia in Italia, nonché docente, ma soprattutto, punto di riferimento, per la nascita prima de “Il Porto ADEG” di Torino e, successivamente, di “Risvegli”, poi “Lyceum” a Milano, Wilma Cipriani.
Molti di noi, me compresa, non hanno avuto l’onore di conoscerla, ma non è possibile non scorgere la forza e l’affetto che la circondavano. Come la descrive Attilia Cossio, sua amica e collega, è stata una vera e propria SCIA DI LUCE, una fiamma in grado di accenderne delle altre, portando con sé calore e visione nell’orientare il cammino altrui.
Quella luce la sentiamo accendere dentro di noi, se con cuore aperto e occhi disposti a cogliere il sottile, leggiamo le parole di Attilia Cossio e di altri colleghi che la ricordano.

Non credo sia opportuno, allora dilungarsi troppo, solo concludo con gratitudine e le parole di Albert Schweitzer, premio Nobel per la pace nel 1952:

A volte la nostra luce si spegne. Tutti abbiamo motivo di pensare con profonda gratitudine a quelli che hanno riacceso la fiamma che è in noi

A WILMA
di Attilia Cossio, Arteterapeuta

Nei primi chiarori del mattino mi avvicino alla finestra e guardo oltre. Una nebbia leggera vela il paesaggio della città e il mio pensiero vola verso altri paesaggi, altri luoghi, altri tempi: “Questa mia mattina verrà dedicata al ricordo di Wilma”. Non potrò più chiamarla o essere chiamata da lei. Lunghe conversazioni che si esaurivano a fatica e lei che mi diceva che la facevo ridere anche quando le era parso, in quel giorno, di essersi svegliata triste. Sono io, ora, ad essere molto triste perché, in una giornata di aprile, di questo ultimo anno, ella ci ha lasciati.
Avevo risposto di sì ad Elena Di Marco, attuale responsabile dei corsi di formazione in Arteterapia di Lyceum, quando mi aveva chiesto di scrivere di Wilma tutto quanto sapevo, della nostra amicizia e delle collaborazioni nelle esperienze di arteterapia. Come ho potuto osare quel sì? Sicuramente ho pensato all’affetto, alla condivisione di tanti momenti preziosi e mi ritrovo a pensare che tutti noi che l’abbiamo conosciuta, siamo convinti di essere unici, prediletti e fortunati.
Certamente: conoscere Wilma è stata una fortuna per ciascuno di noi. Quando Wilma ci ha lasciati il compianto è stato immenso. Elvira Impegnoso ha realizzato una raccolta di brevi frasi ricordo di quella splendida personalità che si è manifestata in Wilma. Anche Elvira è arteterapeuta e fa parte del grande gruppo di amici e colleghi ed è stata per anni responsabile della scuola di formazione “Risvegli” dapprima poi “Lyceum”, in collaborazione con Clara Piazzani.
Anche le mie figlie piangono Wilma, dopo averla conosciuta non solo in famiglia, quando ci raggiungeva per motivi di lavoro e nel tempo libero, ma anche per un corso organizzato per un gruppo di amici, in una località del lago di Como dove abita una di loro.
Laureata in Filosofia e docente di materie umanistiche, si era specializzata in Arteterapia presso la scuola de “Il Porto – ADEG” di Torino. Era iscritta all’albo degli psicologi della Regione Piemonte. Aveva prestato la sua opera di arteterapeuta presso varie istituzioni e la sua docenza presso la scuola “Il Porto”, estesa poi verso enti e altre scuole, ultima delle quali la Scuola di Formazione in Arteterapia clinica “VITT 3”, poi rinominata “Lyceum”. Ha esercitato anche la professione privata. Numerose sono le sue partecipazioni a convegni e numerose le pubblicazioni.
La fisarmonica? Sì. Suonava la fisarmonica e aveva anche suonato durante la festa di matrimonio di mia figlia Enrica. Vera Zilzer, altro personaggio indimenticabile, accanto a lei cantava!
Wilma, dopo una esperienza di vita animata da spostamenti da Verona a Milano, poi Torino e Roma, ha vissuto gli ultimi anni nuovamente a Verona, vicina alle due figlie: Elena e Anna. La figlia Elena la ricorda con ammirazione e immenso affetto espresso da queste parole: “Mamma, eclettica e interessata a tutto, dall’arte alla politica, poteva disquisire relativamente a molti argomenti così come sapeva adattarsi a qualsiasi situazione, trovando sempre la giusta mediazione tra sé e la realtà di ogni altro. Con la sua intelligenza e la sua versatilità manteneva affetti e interessi sempre profondi e significativi, testimoni di una ampia apertura mentale rivolta proprio a tutto il mondo. Il suo pensiero era sempre in movimento e lo stato d’animo sempre volto al buon umore.” Con Elena c’è Anna, la figlia più giovane, che è stata vicina a Wilma, accompagnando con amore gli ultimi anni della sua vita.
Nel 1989 mi ero iscritta alla scuola di formazione de “Il Porto Adeg” allora tenuto a Oglianico. Avevo iniziato quel percorso che avrebbe trasformato la mia vita, aprendomi a consapevolezze assolutamente nuove e vivificanti. Wilma veniva talvolta a trovarci a scuola, durante i nostri fine settimana di studio, e mi avevano sempre colpito la sua amabilità e l’incoraggiamento rivolto a tutti. La conobbi meglio quattro anni dopo quando, concluso lo studio, Raffaella Bortino, fondatrice della scuola di formazione torinese e collegata con la New York University, mi aveva invitata a collaborare come docente per gli allievi del terzo e quarto anno. Colleghe e amiche, in quel periodo furono Wilma Cipriani, che si dedicava alla parte teorica dell’insegnamento, mentre Vera Zilzer mi era accanto per la parte esperienziale. Wilma e Vera furono per me sorelle e amiche. Ricordo entrambe con immenso affetto.
Nell’anno successivo Raffaella Bortino mi chiese di avviare, in collaborazione con Wilma, una nuova scuola di formazione per arteterapeuti presso l’associazione “Risvegli” di Milano. Era l’anno 1998 ed accettai con entusiasmo, ma dopo due anni fui costretta a lasciare l’incarico a causa di gravi motivi familiari. Elvira Impegnoso prese il mio posto e Wilma Cipriani continuò ad insegnare collaborando intensamente per la parte teorica. Furono anni importanti per la scuola, ormai trasformata e rinominata “Lyceum”, mentre tutte le nuove teorie, avviate negli anni novanta, andavano consolidandosi sul piano professionale: neuroscienze e neuroni specchio, intersoggettività ed empatia, tutti contenuti che ci avrebbero portati al “Tu sai che io so”, preludio a tempi di sempre migliore e approfondita conoscenza dei valori che avrebbero rinnovato il significato di ogni relazione interpersonale e il processo terapeutico.

A questo punto mi pare opportuno inserire il vivace e intenso racconto di Elvira Impegnoso:

RICORDANDO WILMA CIPRIANI…
Quando penso a Wilma vengo avvolta dal ricordo del suo calore empatico, ma non dimentico il grande sostegno che ha rappresentato in un momento impegnativo della mia vita lavorativa: la direzione della Scuola Triennale di Arteterapia dal 2000 al 2011.
Malgrado il suo trasferimento a Roma, Wilma riusciva ad essere presente nella didattica. Proprio in uno di questi momenti di presenza a Milano, nel 2002, mi ha parlato di quello che aveva intrapreso nella nuova città, con la sua tipica curiosità intellettuale e spirito di ricerca: l’avvicinamento al nuovo paradigma degli studi psicoanalitici.
La domanda che ci ponevamo in quegli anni era molto impegnativa: quale quadro teorico per le arteterapie?
Eravamo collocati in una “confort zone” molto rassicurante e consolidata ma già, grazie sempre a Wilma, erano arrivati nuovi autori e nuovi testi a darci una scossa. Il riferimento è a Daniel N. Stern e al suo “Il mondo interpersonale del bambino”, ad esempio, e a John Bowlby con “Una base sicura”, da lei introdotti nel corso di lettura.
Ma quella volta la sua spallata alle nostre certezze è stata decisiva: ci ha segnalato l’urgenza di cambiare paradigma e di far riferimento agli studi sull’Infant Research che lei stava approfondendo grazie all’ISIPSé a Roma, l’Istituto e Scuola di Specializzazione in Psicologia Psicoanalitica del Sé e Psicoanalisi relazionale.
Come un piccolo Prometeo piena di energia e di entusiasmo, aveva provocato in noi un terremoto: non si poteva tornare indietro, il percorso di rinnovamento era iniziato.
L’Istituto aveva e ha tuttora una sede anche a Milano dove ho cominciato a seguire, nell’ottobre del 2002, la prima annualità di seminari proposti dall’ISIPSé dal tema: “Attaccamento, intersoggettività e Psicologia del Sé”.
Già dal secondo anno, mentre continuavo a seguire l’attività dell’ISIPSé, abbiamo cominciato ad introdurre nuovi docenti, psicoterapeuti e psicoanalisti dell’Istituto, per le lezioni dell’area psicologica della Scuola. Il percorso è stato appassionante anche se lungo e difficile: un cambio di paradigma che mutava concetti e termini con i quali riflettere ed esprimerci.
La Scuola era ancora sotto l’egida di ASPRU Risvegli Onlus, di cui ringrazio i responsabili per aver accompagnato il cambiamento.
La collaborazione con l’ISIPSé è continuata anche in un altro modo: il grande salone di Risvegli in Via Vittadini ha ospitato alcune iniziative dell’Istituto: nel settembre 2005, la Giornata di Studio con Donna Orange “Affetti e Trauma”; nel marzo 2007 Giovanni Liotti con “Prospettiva multi-motivazionale, organizzazione implicita ed esperienze relazionali in psicoterapia”; e ancora in quell’anno, a maggio, il seminario con Vittorio Gallese dal titolo “Emozioni e intersoggettività: basi neurofisiologiche”.
La collaborazione con Lyceum, già avviata dagli inizi del 2002, ha permesso di organizzare questi momenti in maniera impeccabile.
Nell’ottobre 2006 avevamo potuto offrire ai docenti un corso di aggiornamento tenuto da Maurizio Pinato e Anna Moia, undici incontri quindicinali dal titolo: “Ripensare l’uomo”.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza Wilma che è stata sostegno e punto di confronto, oltre ad essere “motore” del cambiamento, sempre tesa a sottolineare la necessità di una continua verifica del nostro modo di operare con il suo motto: “Dalla teoria alla prassi, e dalla prassi alla teoria”.
Vorrei ricordare anche un altro ambito di ricerca, a questo correlato, ma di impronta iconologica e simbolica: i suoi studi e le sue intuizioni sul tema della raffigurazione della Madonna con Bambino. Wilma aveva evidenziato i cambiamenti nelle modalità di rappresentazione nel passaggio dalle Madonne rinascimentali a quelle della Controriforma, in cui aveva notato la perdita dei gesti e degli sguardi di tenerezza e responsività tra madre e bambino, come se il rigore religioso avesse influenzato profondamente anche i modelli formali di riferimento.
Mi è impossibile guardare un’opera raffigurante una Madonna con Bambino senza pensare a lei e ai suoi insegnamenti.
Come mi mancano le sue telefonate, vere e proprie affettuose lezioni. Oh, Wilma cara!

E noi ringraziamo Elvira per l’efficace e puntuale racconto.
Avevo chiesto ancora altre collaborazioni alle colleghe arteterapeute, utili a mettere a fuoco con maggiore ampiezza la personalità di Wilma. Ecco allora, a seguire, lo scritto di Cherubina Albertini, psicologa, psicoterapeuta e arteterapeuta, che ci offre generosamente un racconto molto personale e commovente per la delicatezza e l’intensità dei sentimenti espressi.

Il mio ricordo di Wilma è paragonabile all’emozione che provo guardando un quadro con intense pennellate di colore adatte per farne un capolavoro. La nuance da lei scelta per me è stata quella adatta in quel momento: sentita, studiata e stesa con la giusta energia della mano. A unirci sono state queste estensioni di spessore affettivo in cui, credo, avevamo bisogno entrambe, ma io, all’inizio del dipinto, in modo particolare.
Una grave malattia porta in sé un peso che non è semplice comunicare senza sentire l’esigenza di rassicurare chi ti è vicino, ma Wilma mi ha permesso di bucare la tela, di lasciarla aperta, di guardare quella lacerazione e di lasciarla lì in attesa di poterci entrare insieme. Stare vicine nel dolore.
Quel quadro ora è quasi concluso e non ha fessure dove l’occhio può indugiare, ma solo sfumature dove è possibile, come molto bene sapeva fare Wilma, sfiorare con tenerezza le particelle di spazio bianco, eredità del colore che passa.
Grazie Wilma!
Oltre lo sfondo anche altre cose hanno completato il dipinto: momenti di gioia, di musica nella sua calda casa torinese in cui, ricordo, lei batteva le mani a ritmo mentre mio marito suonava e lei sorrideva felice. Wilma sapeva assaporare il piacere di stare bene e di godere della bellezza del vivere. Ecco, questo è quello che mi porto nel cuore da Wilma. Angela

Le testimonianze si chiudono con lo scritto di Margherita Gandini, direttrice didattica dei corsi di formazione per arteterapeuti di Lyceum, dal 2012 al 2022.

Wilma, un’amica e una maestra indimenticabile. Un’insegnante che ha saputo dare molto di sé, valicando i confini che normalmente si pongono tra docente e allievo ed entrando nella sfera affettiva di ognuno, con sensibilità, capacità di ascolto, infinita empatia.
Ricordo le sue lezioni di “AT lettura” al Porto – Adeg del venerdì sera di tanto tempo fa, con il suo approccio non convenzionale sapeva creare un confronto aperto sulle emozioni sottese alle teorie che, così, diventavano vita vissuta e trama affettiva condivisa, ogni contenuto apriva le porte ad infinite altre connessioni, riferimenti culturali, esperienze personali…
Come docente, ha trasmesso la sua immensa fiducia nell’arteterapia, ha rivelato la sua cultura infinita e il suo desiderio di ricerca e approfondimento.
La cultura la motivava e la nutriva, anche se non rimaneva mai su piani puramente teorici, ma amava ancorare le teorie ai vissuti, alle emozioni, al corpo.
Spesso ha motivato i docenti di Lyceum ad aprirsi a nuovi orizzonti teorici. Nel periodo in cui ho coordinato la Formazione in arteterapia di Lyceum, Wilma, non riuscendo più ad essere presente come docente, organizzava gruppi di lettura presso la sua abitazione, proponeva nuovi ambiti di ricerca e fortemente ha voluto che la Formazione includesse nel suo impianto teorico le riflessioni derivanti dalle Neuroscienze, che bene potevano spiegare alcuni processi osservabili in arteterapia, soprattutto rispetto alla dimensione corporea, per lei fondamentale.
Wilma era abile anche a sostenere i processi di crescita dei suoi allievi, trasmettendo fiducia. Credendo profondamente in loro, era come se riuscisse a far emergere la parte più bella, più sana, più integrata di ognuno.
Come amica ha saputo darsi in un modo unico e autentico, condividendo profondamente parti di sé. Anche da un punto di vista affettivo, non si fermava alla superficie, ma entrava con tatto e sensibilità nel mondo interno degli altri, creando relazioni affettive intense e profonde. A contatto con lei, dopo pochi minuti, Wilma diventava casa e nido dove potersi rifugiare.
Se come docente tesseva trame culturali, come amica tesseva con spontaneità trame affettive. Lei che concludeva i suoi messaggi con “tua Wilma” lasciava un segno profondo nel cuore di tutti.
Ora che leggo in uno dei suoi ultimi messaggi “Sentimi vicina, sempre”, inevitabilmente penso “Cara Wilma, non potrebbe essere altrimenti…”

A conclusione di quanto scritto finora, concludo con la presentazione del testo di un intervento ad un convegno ad Assisi nel 2007. Avevamo deciso di partecipare insieme e la preparazione ci aveva viste profondamente solidali ed entusiaste. Il titolo era stato scelto da Wilma ed io vedevo, come un sogno nella mia condivisione, le immagini di un teatro che assomigliava al Colosseo in tutta la sua potenza e complessità, così come complesso e potente è il processo creativo. Ci si era suddiviso il racconto trasformato in un dialogo e presentato con immagini che, dopo una prima delusione nella ricerca, ho fortunatamente ritrovato.

Cenni storici e presupposti scientifici dell’arteterapia.
Il teatro di rappresentazione del Sé.

W. Inizieremo il nostro intervento con una veloce rassegna della storia dell’arteterapia, importante per comprendere quale evoluzione dei suoi contenuti essa ha presentato.
È importante, per esempio che si sappia che l’espressione psicopatologica ha preso forma compiuta e trasmettibile nelle opere di grandi poeti ed artisti, come Hölderling e Van Gogh, che sono state oggetto di saggi critici da parte di Jaspers, Heidegger, Minkowska, ecc. già dall’’800 e nei primi anni del ‘900.
Questi saggi erano l’esito di un grandissimo interesse della psichiatria dell’‘800 per l’arte psicopatologica come momento di autocura spontanea da parte di pazienti ricoverati.
Ne sono testimoni le famose Patografie che lo psichiatra A. Verga aveva scritto con i suoi collaboratori in Italia alla metà dell’‘800, ampiamente ripreso a livello europeo.
Non possiamo, in questo momento, sviluppare ulteriormente questo tema, ma ci limitiamo ad elencare alcuni nomi che hanno segnato storicamente con i loro scritti il valore dell’arte psicopatologica, particolarmente espressa in opere plastiche, fino a giungere alla definizione specifica del termine ARTETERAPIA.
Basta partire da Cesare Lombroso con il suo “Genio e follia”, ben presto superato dalle teorie freudiane sul valore rivelatore dell’arte.
Freud ritiene infatti che l’arte sia custode di contenuti inconsci che il soggetto può impunemente far emergere senza provare sensi di colpa.
Da qui naturalmente parte la grande sequenza degli studi sull’atto creativo, da Jung a Baudouin, dalla Klein a Winnicot, seguiti da H. Segal, E. Kriss, Chauget-Smirgel, Viart, ecc., per giungere, con Florence Cane e M. Naumburg ad inscrivere l’arteterapia nella cornice teorica del pensiero freudiano da cui si incanalerà in due direzioni: una verso la psicologia dell’Io, con E. Kramer e seguaci, e l’altra verso la teoria delle relazioni oggettuali su cui insiste, soprattutto, l’arteterapeuta A. Robbins del Pratt Institute di Washington.

A. A questo proposito, non tralasciamo l’importanza di comunicare che, per quanto riguarda la conoscenza di quanto sopra esposto, noi ci siamo formate nel percorso di studio in Arteterapia svolto alla scuola A.D.E.G.- New York University di Torino. In questa scuola l’impostazione teorica e metodologica di Raffaella Bortino e Gustavo Gamna, suoi fondatori, aveva integrato con l’arteterapia le teorie dell’attaccamento (Bowlby), gli studi sul rilassamento terapeutico (Sapir e Bergesse) e ancora la psicologia dell’Io sulla scorta di M. Naumburg e E. Kramer.
Ora cercheremo di esporre, interagendo tra di noi, le nuove competenze che stiamo assumendo riguardo il linguaggio non verbale, analogico e metaforico, e le acquisizioni teorico-scientifiche che illuminano potentemente il valore sociale e individuale della creatività.

W. Cominciamo a chiederci perché ci troviamo qui oggi a presentare questa comunicazione in forma di dialogo e perché abbiamo bisogno di confrontarci. È perché nella nostra epoca nasce una nuova e fondata fiducia nel rapporto interpersonale come fonte di acquisizione di coscienza e conoscenza? È perché oggi ci riferiamo alla psicologia della relazione?

A. Penso di sì, infatti ci esprimiamo in una relazione affettiva che diventa terreno di scambio per la ricerca della comprensione delle esperienze estetiche che, a questo riguardo, abbiamo compiuto e stiamo compiendo.

W. Similmente a quanto avviene nel rapporto con il paziente, quando con lui si scoprono e si co-creano le possibilità di cambiamento e di autorappresentazione. Quando il paziente, nella reciprocità di una terapia positiva, si manifesta, attraverso le analogie delle sue opere, riflettendosi nei nostri occhi esterrefatti. Ma… cosa sta accadendo a noi oggi?

A. Io credo che oggi stiamo avendo una grande opportunità: quella di rivisitare, condividendola con il nostro auditorio, l’esperienza passata al fine di convalidarla, o smentirla, mediante elementi conoscitivi aggiornati. È questo del resto ciò che abbiamo sempre appreso come necessario per seguire un metodo che dia credibilità scientifica al nostro lavoro.
Sentiamo dunque la necessità di riconsiderare cosa era accaduto dieci o quindici anni fa, con i nostri pazienti, in quelle relazioni che ci appaiono ora con i contorni più definiti, dettagliate e ricche di nuove rivelazioni.
Abbiamo gli elementi di una ricerca che abbiamo svolto in questi anni e che ci ha portato a guardare a quanto era accaduto nei nostri atelier, cercando di verificare nell’area delle scienze psicologiche, sia dello sviluppo che psicoanalitiche, e ora delle scienze cognitive e delle neuroscienze, il motivo dei successi terapeutici.
Abbiamo lavorato per la realizzazione di quei processi di cambiamento che vedevamo realizzarsi nel compiersi dell’atto creativo e li inquadriamo ora in una cornice teorica che si fonda sul riconoscimento prioritario dell’area relazionale intersoggettiva.

W. Sono d’accordo. Vorrei raccontare che per me si è aperta una finestra nel 2002, quando con il mio analista, Paolo Roccato, ho assistito al convegno dell’ISIPSE’ a Roma “Canto, dunque sono”. Ho visto come ciò che accade in terapia nella relazione “mamma – bambino” corrisponda, ampliato e verificato, a ciò che si definiva, in psicoanalisi, “relazione oggettuale”. Ho potuto unire l’esperienza degli autori dell’Infant Research (Beebe e Lachmann, che erano presenti) al lungo lavoro che abbiamo compiuto in arteterapia, quando osservavamo che la relazione non verbale forniva enormi possibilità allo sviluppo psicofisico e cognitivo della persona.
Non ti dico dell’emozione che ho provato nel riconoscere, rispecchiata in arteterapia, l’efficacia dell’intersoggettività presente nelle cure tra madre e bambino! In questo percorso mi ha meravigliosamente accompagnata la lettura dell’opera di Stern da cui ho appreso che “intersoggettività e coscienza coevolvono”.

A. Nella mia pratica professionale, fin dalle prime esperienze, mi sono chiesta dove iniziasse e dove finisse il valore terapeutico insito nell’atto creativo e quale importanza avesse, in sostanza, la relazione paziente/terapeuta/gruppo, tutti simili e cooperanti nella condivisione dell’intenzionalità; cioè, come si direbbe ora, nel campo “noicentrico”.
Ora mi rispondo chiaramente che l’atto creativo, nel manifestarsi dell’opera, consente l’emersione delle varie parti del sé, la sua molteplicità espressa nelle sue varie componenti, di vittoria, di sconfitta, di conflitto, di recupero di vissuti, di paure, di speranze, di intenzioni, ed infine di corporeità del vivere.
Contemporaneamente l’arteterapeuta (spettatore – compagno) condivide, riconosce e concorre a dare corpo alle intenzioni espresse, alla potenzialità dell’altro e ai suoi desideri, mentre entrambi sono uniti nell’intento cooperativo di perseguire il cambiamento: l’uno di esprimerne il bisogno, l’altro di accoglierne le profonde ragioni.

W. Mi piace tanto questo tuo riferimento alla molteplicità del sé, e alla sua possibilità di strutturarsi e ristrutturarsi nell’arco della vita.
A convalida di ciò scorrerò brevemente il caso di una paziente ebefrenica, Alba. Nel suo delirio ricorrente c’erano aerei spaziali, con emissioni di onde sincronizzate sul suo organismo che la sovrastavano costantemente per colpirla.
Era già ricoverata da circa trent’anni.
Faceva parte di un gruppo di arteterapia a me affidato 1989.
All’inizio della seduta esortavo il gruppo a disegnare o scolpire o comunque ad esprimere pensieri, sentimenti, ricordi, desideri con qualsiasi materiale artistico.
A. mi chiese di darle carta e pennarelli. Pensai: “materiale narrativo”.
Percepivo che tastava il terreno: misurava l’intensità del nostro incontro.
Quello che è certo, ma allora non lo mettevo in conto, era che io avevo una attesa intenzionalmente interessata verso di lei, poiché conoscevo la sua alta provenienza culturale.
Oggi mi rendo conto che io operavo implicitamente in un campo sintonico con lei: quello intenzionale.
Aggiungo due note anamnestiche che oggi mi parlano, ben più di allora, dell’importanza delle sue relazioni interpersonali e dei livelli di attaccamento infantili: la madre psicotica (a lungo ricoverata) e il padre, un intellettuale, emotivamente assente.
L’area comune tra di noi era quella della laicità e della libertà di pensiero.
Forse ne era derivata una intesa intenzionale, da cui posso oggi constatare lo scaturire delle fasi espressive di A., della catena delle sue associazioni.
La fig.1, interlocutoria, è una veduta di Venezia.

Figura 1

Nella fig.2 osserviamo che A. propone una rappresentazione-racconto: seduta sola in una poltrona collocata in una stanza, vestita normalmente, mentre ascolta la radio. Si manifesta un Sé grandioso, isolato, collegato alla realtà solo tramite la radio.

Figura 2

Nella immagine della fig.3 A. focalizza una rappresentazione del Sé adolescenziale, dove appare all’interno di una complessa struttura chiusa, formata da elementi vegetali e da componenti elettromeccaniche che si congiungono a scongiurare “le onde letali che le vengono inviate da aerei sintonizzati sulle sue stesse onde corporee”. Questo è quello che lei dice di sé ed è una grande immagine dove convivono un’idea del Sé legata ad un senso corporeo (Sé corporeo e nucleare integri), circondata da un delirio paranoico.

Figura 3
La fig.4 corrisponde a questo stato di duplicità: la scrittura scientifica da lei inventata per descrivere la natura.

Figura 4

Nella fig 5 A. sente di dover uscire da questa duplicità: la figura rivela il travaglio che la indirizzerà per trovare la direzione giusta: è il labirinto di una corolla di rosa. In mezzo ai petali è custodito un suonatore di violino.

Figura 5

Il segreto della figura 5 si svincola nella libera associazione della figura 6, dove la rosa si rivela essere un apparato del suo corpo: l’apparato digerente. È una parte per il tutto: A. ha scelto il corpo umano, il suo corpo, la percezione del Sé corporeo, al quale si può accostare liberandosi dalle proiezioni deliranti.

Figura 6

Al centro dell’intestino, A. pone un elemento di controllo: un’automobile che, caricata di feci, raggiunge l’esterno guidata attraverso il percorso viscerale che porta alla fuoriuscita dell’ano.
Definirei l’immagine n.7: il momento “KAYROS”. È un passaggio non improvviso, ma giunto al suo culmine proprio in questa rappresentazione: una bambina, aiutandosi con uno sgabello (A. è molto bassa di statura), si affaccia ad una grande finestra a contemplare un paesaggio composto da alberi e da una casa familiare. Il cielo, illuminato dal sole a sinistra, a destra è occupato dall’arrivo di un grande volatile. È la colomba della sua pace: la sua liberazione dal pensiero persecutorio e la conquista di una relazione di fiducia. La metafora dell’autorappresentazione la salva.

Figura 7

La strada che le si apre davanti continua nella direzione di esplorare la corporeità del vivere. Ce lo testimonia l’immagine n.8 (la lotta tra Venere e Marte) squisitamente appropriata al conflitto che le si presenta: che fare del mio desiderio?

Figura 8

Nelle immagini n° 9 e seguenti vi sono le risposte, ricercate in un periodo abbastanza lungo, che si manifestano con le rappresentazioni delle coppie uomo-donna che non si guardano, fino a quella finale dove compaiono due amiche che, guardandosi e conversando, camminano per la strada di una città (fig.10).

Figura 9
Figura 10

In questi ultimi anni di terapia, A. ha dismesso ogni abbigliamento strampalato.
Ha pure chiesto ed ottenuto di recarsi, accompagnata da una suora, in una città vicina dove lei ha una lontana parente.
Conclusione:
A. ha potuto riconnettersi ad una realtà che ha rappresentato il suo massimo livello di normalità. Si è ambientata in una comunità alloggio dove ha potuto vivere fino al momento della sua recente dipartita, in una relazione amicale con un altro paziente.
Da una solitudine persecutoria ha potuto transitare, mediante la relazione con la terapeuta, all’esperienza costruttiva del “contatto” interpersonale.

Successivamente con Wilma ho affrontato parecchie esperienze dedicate alle più disparate situazioni. Mi piacevano la suddivisione dei ruoli, l’armonia e il rispetto, il confronto generoso quanto profondo. L’esserle stata collega e amica mi ha compensata con tanta gioia: “E’ così, Wilmetta mia!”

Poi iniziarono a succedersi anni più difficili sia per Wilma sia per me e certamente per tanti altri. La vita scorre e ciascuno lascia la sua traccia, WILMA LASCIA UNA SCIA DI LUCE. Negli ultimi anni l’affetto tra di noi prese il sopravvento sopra ad ogni altro valore, fino al giorno dell’addio e del dolore.
Con un sorriso e tanta tenerezza

Attilia


Biografia

  • Wilma Cipriani (1930 – 2023), filosofa, psicoterapeuta, arteterapeuta, socia onoraria Apiart.

    Originaria di Verona, si laurea in filosofia con una tesi in Estetica e diventa docente di Letteratura Italiana e Storia presso la scuola statale.

    Non fa studi artistici, ma ha un animo artistico che si rivela ben presto con la scelta della tesi in Estetica sullo storico dell’arte Aby Warburg, di cui in seguito ripropone il pensiero. Inoltre fa studi musicali, approfondisce la conoscenza del pianoforte e dell’organetto e, da autodidatta, della chitarra.

    Negli anni ’80 entra in contatto con Raffaella Bortino, direttrice e docente della Scuola di Psicoterapia Espressiva Non Verbale Il Porto Adeg di Torino, creata in collaborazione con la New York University. Rimane molto colpita dall’approccio psicoterapeutico di Bortino e, in particolare, dall’arteterapia. Si trasferisce quindi a Torino e si iscrive alla Formazione, diventando una delle prime studentesse italiane in arteterapia, diplomata dalla New York University.

    Una volta diplomata, decide di svolgere la sua professione di docente presso le scuole serali, in modo da dedicarsi, durante il giorno, all’esercizio della professione di arteterapeuta e, non appena le è possibile, si dedica totalmente all’arteterapia.

    Prosegue in modo autonomo gli studi in psicologia e si iscrive all’albo degli psicologi.

    Viene chiamata come arteterapeuta presso l’ospedale psichiatrico Fatebenefratelli di Torino dove si respira tutto il clima trasformativo derivante dalla riforma Basaglia e dove, in equipe con Luigino Bardini, per 12 anni gestisce un atelier di arteterapia rivolto a pazienti psichiatrici, ma dove conduce anche percorsi di formazione attraverso il medium dell’arteterapia con medici e operatori sanitari. In contemporanea si dedica alla professione privata, seguendo individualmente bambini e adulti, prediligendo sempre la coppia madre/bambino a cui ha dedicato molti studi e approfondimenti.

    E’ una delle prime allieve in arteterapia italiane a diventare, a sua volta, docente presso Il Porto – Adeg, la Scuola in Arteterapia torinese dove si è formata. Qui per molti anni tiene il corso di “Lettura in Arteterapia” e vari altri stage tematici.

    Dal 2000 la Formazione in Arteterapia viene traferita da Torino a Milano, prima presso l’Associazione Risvegli e poi presso l’Associazione Lyceum, dove Wilma Cipriani continua a tenere le sue lezioni come supervisore sui tirocini degli allievi e come docente di differenti corsi teorici e pratico-esperienziali, ma dove diventa anche un importante riferimento per tutto il gruppo dei docenti, in merito agli indirizzi teorici che caratterizzano la Formazione.

    Nello stesso periodo, si trasferisce da Torino a Roma dove affronta, con la curiosità che la caratterizza, gli studi presso l’ISIPSé, Istituto e Scuola di Specializzazione in Psicologia Psicoanalitica del Sé e Psicoanalisi relazionale.

    Intellettuale appassionata, continua ad approfondire aspetti teorici legati alla psicologia e all’arteterapia, prediligendo tematiche innovative come le Neuroscienze e l’Intersoggettività.

    Nonostante i suoi contributi scientifici, dipinge e respira l’arte nelle sue sfaccettature innovative, creative e terapeutiche.

    Ritorna a Torino, sua città di elezione.

    Interviene con intuizioni e pensieri innovativi in convegni nazionali e scrive diversi articoli sul tema dell’arteterapia in pubblicazioni di prestigio.

    Negli ultimi anni della sua vita ritorna a Verona, sua città di origine, che per lei ha un significato profondo e personale e da qui saluta la sua vita, all’età di 93 anni.

    Wilma Cipriani ha partecipato attivamente all’evoluzione dell’arteterapia in Italia, è stata formatrice di diverse generazioni di arteterapeuti, diventando maestra e fonte di ispirazione per molti arteterapeuti che si riconoscono nel metodo “Arte come Terapia”.

 

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