cARTeggi – n. 5 – Giugno 2022


ARTICOLO
BAGNI DI BOSCO. SPAZI DI POSSIBILITÀ E CAMBIAMENTO IN NATURA

Intervista a Franca Rey, DanzaMovimento Terapeuta Apid ®, Practitioner Body Mind Centering ®, Referente sezione Lombardia APID, docente Lyceum Academy

Intervista condotta da Valentina Bugli, Sociologa e DanzaMovimento Terapeuta Apid ®

Da dove viene la tua passione per il corpo in movimento

Viene da molto lontano. Anzi direi da sempre, fin da piccolissima, da quando ero all’asilo… Infatti ho iniziato molto presto a fare ginnastica artistica, avevo 4 anni… Ho tanti ricordi propriocettivi, cinestesici… Per esempio del mio corpo che galleggia nell’acqua, della pace in un bosco, della sensazione che si ha a stare in equilibrio sulle mani, il calore del contatto, sono memorie che riemergono e ci parlano di noi. Andando avanti negli anni ho un po’ perso questa connessione, che ho ritrovato con la danza solo verso l’adolescenza, verso i 15 o 16 anni… In quel periodo sentivo l’urgenza di cercare un modo per ritrovare il mio corpo, da cui mi ero allontanata, e al contempo di esprimere un cambiamento, di cui ero alla ricerca. Ho iniziato a danzare, ti parlo di circa quaranta anni fa: danza jazz, danza afro che è stata una grande passione, danza moderna, un po’ di contemporanea… Sono andata anche in Inghilterra a studiare dopo il liceo. In quegli anni sentivo un’esigenza di integrazione e di espressione… Ho sentito forte la possibilità della danza, ma anche la sua limitazione soprattutto per quanto riguarda l’aspetto performativo e imitativo. Sentivo di dovere cercare qualcos’altro che ancora mancava… In ogni caso, il movimento mi ha sempre appassionato, anche quello sportivo. Ho avuto un canale preferenziale. Ho sempre sentito qualcosa che mi spinge ad andare a fondo, partire dal corpo e dal movimento per trovare una possibilità di integrazione, di benessere e di salute.

Quando e come hai scoperto di essere una Danzaterapeuta?

Negli anni ’90 dopo il diploma ISEF ho incontrato Maria Fux. Mi sono imbattuta in un suo laboratorio alla Scuola Civica di Animazione Pedagogica a Milano. Durante il primo incontro, Maria Fux ha proposto il tamburo: ho finalmente trovato ciò che andavo cercando, questa possibilità di tenere insieme struttura e libertà. Di potere stare dentro una struttura che mi contenesse e al contempo la garanzia di una possibilità esplorativa, dentro lo spazio, un ritmo un flusso, in un gruppo. Ho iniziato così e da lì ho continuato! Quella con Maria Fux è stata una formazione triennale più orientata all’animazione, poi ho cercato altro.

Quindi in realtà non ho scoperto di essere una Danzaterapeuta, l’ho proprio scelto! Dopo l’incontro con Maria Fux, ho capito che quella era una possibilità. Da una parte sicuramente c’è stato un riconoscere un canale personale. D’altro canto, credo ci sia stato anche un bisogno inespresso, una sofferenza che volevo curare. Poi ho seguito, la scuola di Vincenzo Puxeddu, Di DanzaMovimento Terapia Integrata®

Della scuola di Vincenzo Puxeddu mi interessava il mettere a fuoco l’aspetto anatomico kinesiologico legato di intelligenza del corpo. Penso che dopo la prima formazione sia necessario andare avanti, la Danzaterapia è una pratica che si deve portare avanti dal punto di vista dello studio, della ricerca. Non è sufficiente fare la prima formazione, che è importante, però poi il lavoro va affinato, va anche approfondito. Io in particolare ho continuato a praticare il Movimento Autentico, la Danza Sensibile, seguire delle formazioni Laban, più avanti ho fatto la formazione in Body Mind Centering®, quindi sono BMC Practitioner. Ho anche continuato a sperimentare, da sola, sto facendo ora il lavoro in natura, che è proprio partito da una sperimentazione.

Essendo la nostra professione ancora poco riconosciuta in Italia, è secondo me molto importante avere un gruppo di riferimento, delle persone con cui scambiare e confrontarsi; anche la partecipazione all’APID, la nostra associazione professionale, penso sia molto importante perché valorizza la professione e offre riconoscimento istituzionale. È necessaria la supervisione, così come continuare a fare su di sé un lavoro terapeutico… Essere Danzaterapeuta è per me una strada lunga e appassionante.

Ognuna e ognuno di noi poi sceglie degli ambiti di lavoro. Io per esempio all’inizio ho lavorato tanto con le donne in gravidanza, in progetti di accompagnamento alla nascita, con i consultori. È stato un grande insegnamento quello della gravidanza e della nascita, per quanto riguarda il corpo e l’integrazione degli aspetti fisiologici, emotivi e mentali di come questi aspetti si influenzino a vicenda nel momento della gravidanza e del parto.

Ora non lavoro più con le gravidanze ma continuo il mio lavoro con le donne. Questa cosa non l’ho scelta, è arrivata! Forse c’è anche qualcosa dentro di me, una sorellanza che sento di potere sostenere in qualche modo, anche in termini di scambio, senza precludere ovviamente la possibilità di integrazione con gli uomini. Lavoro tanto con pazienti con Alzheimer, con gli anziani, e con i bambini, in particolare sull’integrazione tra movimento e aspetti cognitivi. Dopo il grande fermo della pandemia, che ha portato con sé paura e il diradarsi di molte relazioni, per tutte e tutti ma particolare per gli anziani emerge l’esigenza di recuperare attraverso il movimento, il contatto con l’ambiente. Conduco tanti gruppi in natura. Con gli adulti in sedute individuali, integrando lavoro somatico di riorganizzazione del movimento di Anatomia Esperienziale con la Danza Movimento Terapia dando spazio a processi più interni, ma mettendo in evidenza il movimento, anche rispetto ai suoi aspetti energetici.

Fortunatamente lavoro quasi sempre in équipe, mi interessa approfondire la pratica in collaborazione con altre figure professionali, di stampo psicologico, medico (es. neurologi…), afferenti alle artiterapie, all’ambito della meditazione… Il lavoro in équipe è arricchente.

Cosa può aggiungere la natura alla Danzaterapia?

Quando ci muoviamo e danziamo in Natura siamo immersi in un ambiente vivo, vibrante, che respira, in trasformazione continua, con una ricchezza di stimoli quali il movimento del vento, il fruscio delle foglie, le luci e ombre, i colori, i suoni degli animali, lo scorrere dell’acqua. Quindi si tratta soprattutto di sensibilizzare il corpo agli stimoli in entrata e in uscita e di creare le condizioni perché i partecipanti siano in grado di ac-cogliere la meraviglia e di entrare in una modalità dialogica con l’ambiente. 

Chi conduce il lavoro crea il setting, con un tempo, spazi dedicati e all’interno di una relazione. Deve conoscere il posto e averlo già in qualche modo ascoltato con il corpo e il movimento, e aver percepito, attraverso la sensibilità fine, la vibrazione del luogo. E’ un modo per mettere in confort i partecipanti.

Nella mia ricerca, ho trovato che la meditazione è un buon modo per iniziare e finire la sessione, sia per portare le persone nel qui e ora che per prepararle al lavoro di movimento, portare l’attenzione all’interno di sé e anche all’esterno, verso la natura. Le meditazioni sedute e camminate sono guidate da Franco Bernazzoli, compagno di vita e meditante esperto con cui condivido l’esperienza dei workshop residenziali. I rituali sono utili per entrare in un tempo diverso, non quotidiano.

Nella pratica in Natura, a differenza che in studio io come conduttrice di DMT sono presente a una chinesfera generale molto grande, dove il cielo è lo spazio sopra di me, la profondità della terra è lo spazio sotto di me, ridimensiono la mia presenza di essere umano ma apro la mente a uno spazio globale. Lo spazio diventa così meno antropocentrico.

La permanenza nel bosco di per sé, modifica lo stato di attivazione della mente e crea dei cambiamenti a livello fisiologico. In Giappone è stato istituito un settore di ricerca in Forest Medicine dove vengono prescritti dei bagni di foresta ad uso terapeutico ed è stato dimostrato che le piante producono sostanze in grado di diminuire la produzione di ormoni dello stress (abbassando i livelli di ansia) e di stimolare il sistema immunitario.

Muoversi in un bosco richiede di rallentare, uscire dai percorsi tracciati, inoltrarsi tra gli alberi richiede un adattamento del corpo e degli appoggi, risveglia le memorie di pattern di movimento che ci hanno permesso di raggiungere la verticalità e le risposte di equilibrio che si riflettono poi sulla capacità di affrontare dei cambiamenti anche nella vita.

Il nostro corpo è fatto per rispondere a un ambiente naturale. Vivendo lontani dalla natura non ne siamo più tanto consapevoli ma siamo esseri sensibili. Portando l’attenzione agli stimoli sensoriali e osservando le reazioni di movimento, osservando come il contatto diretto con gli elementi naturali riverbera nei nostri tessuti ritroviamo una capacità propria del nostro organismo e del nostro corpo istintuale, nella sua vitalità: viene restituito un sense awareness, (essere attivi e interagire con il mondo circostante).

E quando riconosciamo il vivente intorno non come un oggetto da sfruttare ma come soggetto, (non solo le piante ma anche i fiumi, le montagne) come dice il filosofo ed ecologista David Abram, scopriamo probabilmente che abitiamo lo stesso mondo.

L’embodiment con l’ambiente naturale ci ricorda che le leggi che sottostanno allo sviluppo del mondo vegetale sono le stesse che segue il nostro corpo nel formarsi dall’embrione alla forma adulta.

Noi siamo Natura, il nostro corpo è plasmato nel movimento di onde, vortici e gorghi di sangue e linfa come le ossa, il cuore e i muscoli sono plasmati dai fluidi. Sono dei pattern che seguono forme spiraleggianti o ramificate che troviamo per esempio nell’albero, nei tronchi che prendono forma a seconda degli ostacoli che incontrano insegnandoci la resilienza e mettendoci in contatto anche con il senso di appartenenza, di sentirci parte del mondo Naturale. Queste esperienze possono essere una risorsa nei momenti di perdita di senso o negli stati depressivi.

Lo vedo anche nelle persone con Alzheimer quando lavoriamo al parco osservo un abbassamento della tensione corporea, sono più tranquilli e si risveglia questa attenzione verso l’esterno. Anche il corpo prende forme diverse, ruota, lo sguardo si orienta, l’orecchio si orienta ai suoni e i movimenti si adattano.  Le persone anziane sono molto irrigidite nella loro postura, questa apertura del corpo è anche della mente.

Alla fine dell’esperienza lascio uno spazio di restituzione creativa, che arriva sempre. Quando si lavora dentro un tempo più lungo, un tempo di calma, la parte più creativa di noi può farsi spazio. Ci sono delle immagini, storie, danze poesie che emergono, che vengono stimolate da quello che ci circonda e che è anche un modo di restituire la nostra esperienza all’ambiente in cui ci siamo mossi.

Io ho iniziato tanti anni fa sperimentando su di me, poi con i gruppi che accompagno in natura, e studiando cerco conferme di quanto vado scoprendo. Mia mamma è svedese, sono cresciuta con i racconti dei boschi, sono stata tanto nei boschi da bambina. Mi sento protetta all’interno di un bosco.

In questo tipo di esperienze io credo ci siano delle possibilità di bilanciamento e di cura: il bosco, il fiume, il mare, per noi esseri umani che abbiamo vissuto nella natura fino a non tantissimo tempo fa, sono elementi che risuonano nei nostri tessuti, ci emozionano, ci riconnettono, ci aprono spazi di possibilità